IL MIRACOLO

racconto di Ayana Sambuu

 

Quello fu proprio un bellissimo giorno della primavera romana. Portò finalmente un po’ di sole e di sollievo dopo il lungo e piovoso inverno. Mi svegliai prestissimo,nel mezzo della notte. Mi scaraventai giù dal letto di colpo: ero molto preoccupata perché sentivo la gola in fiamme, e non riuscivo a togliermi dalla testa le cadenze dell’aria di Rosina.
Provai a bere qualche sorso d'acqua ma il bruciore non passava. Tornai a letto e nel dormiveglia sentivo il mio corpo rilassarsi ma la mia mente resisteva e continuava a pensare, pensare...

Non riuscivo a togliermi dalla testa gli ultimi istanti di vita di mia nonna. Sentivo la sua cara voce così chiaramente che avevo l'impressione di averla lì accanto a me. Ripensai al coraggio suo e del nonno: a tutto quello che, nonostante tutte le difficoltà, avevano fatto per crescere me e mio fratello. Gli occhi si riempirono di lacrime. Mi succedeva sempre la mattina quando, specchiandomi, rivedevo nella mia immagine le sembianze di mia madre. Quanto le somigliavo!

Anche quel giorno il mio viso era rigato dalle lacrime, anche se una voce dentro di me diceva di non piangere, di essere forte. Ma come avrei potuto? Che cosa significa essere forti in queste situazioni? Cosa avrei dovuto fare: scherzare, ridere come se niente fosse, ignorando i miei sentimenti feriti e ingannando me stessa?

Ero devastata dai pensieri più amari e anche il mio corpo cominciava a soffrire: un dolore insopportabile. Provai a fare una scansione dei sentimenti cercando di alleggerire quella situazione. Ma niente poteva staccarmi da quei legami d'amore, che per me erano i più importanti di tutto il mondo, di tutto l'universo, di tutta l'eternità. Capii che l'unico modo di convivere con questa pena era quello di mantenere viva dentro di me la memoria di queste persone tanto care.

All’improvviso mi ricordaidi quella volta – ero solo una bambina – che mi svegliai nel letto della mia vecchia casa, dove ero nata e cresciuta. Anche quella volta ebbi un sobbalzo. Era aprile inoltrato e la Mongolia aspettava l’arrivo della primavera. C’era un silenzio insolito: ogni mattina il nonno, che non ci sentiva tanto bene, teneva la radio a tutto volume per sentire le previsioni del tempo. Ma quella mattina la radio era spenta e dalla cucina o dal salotto non arrivavano le solite voci familiari. Non sentivo le consuete discussioni: “Dove andrà a finire il nostro paese?” “La vita e le tasse continuano ad aumentare e la pensione diminuisce”. “I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri”…

Fu proprio quel silenzio a svegliarmi. Anche la luce sembrava filtrare in modo diverso nella stanza. Finalmente capii: è nevicato! Saltai  giù dal letto, correndo verso la mia grande finestra con i fiori sopra il davanzale. La neve aveva già riempito il cortile e quella candida luce intensa regalava una serenità profonda. La neve era ancora intatta, nessuno ci aveva ancora camminato sopra. Nessuna impronta rompeva l’armonia di quell’incanto.

Quando nevicava in aprile avevo sempre la sensazione che la mia anima venisse purificata. Era come se qualcosa di sacro mi sollevasse, il corpo e la coscienza, una sensazione di leggerezza e sollievo e nello stesso tempo di potente che mi consentiva di liberarmi nell’aria.

“Che bella nevicata”, esclamai con la mia felicità di bambina. E la nonna rispose: “Ayana, idi skorei! Posmotri-ka!”: “Ayana, presto: vieni! Guarda un po’!".

Mi ricordo che volai nella stanza accanto, il nostro caro salottino, e tutti e tre restammo in silenzio davanti alla finestra. Solo il nonno ripeteva: “Oh! Oh!”.
“Gde? Gde?”, dove?, dove?,risposi io ridendo senza nemmeno sapere perché. Guardai e rimasi di pietra.

Lì nel nostro cortile, parco giochi della mia infanzia; lì nel regno delle mie favole, proprio lì c’erano due cervi. Due bellissimi cervi.Il maschio, massiccio e regale,aveva un sontuoso palco di corna, mentre la femmina mostrava un delicato fascino e teneva gli enormi occhi spalancati. Stavano uno accanto all’altra, meravigliose figure sullo sfondo della neve, non lontano dai tre pini dove giocavo e inventavo le mie storie più fantasiose. Ma quella visione era reale. E insieme fantastica.

I nonni sussurravano: “Guarda come sono belli!”. Forse erano scesi in cerca di cibo dai monti del parco che circonda la capitale. Forse erano stremati dal grande freddo di quell’inverno.

Stavamo lì a guardarli incantati, quando mi accorsi che erano quasi le nove. ”Oddio, faccio tardi all’università!”, mi spaventai. Ma era così  difficile staccarsi da quella finestra, e dai miei nonni,sempre uno accanto all’altra, proprio come quei bellissimi cervi nella magia di quel momento.

Si, non scorderò mai quel momento della mia vita, la mia “vita precedente” come la chiamo io, quella felice di ragazza sommersa dalle attenzioni, dalle cure e dall’amore dei miei cari nonni, proprio come quei due cervi, sempre uno accanto all’altro. E sempre vicini a me e a mio fratello.

Due anni dopo, sempre in aprile, ci fu un’altra fitta nevicata. Anche quella volta saltai giù dalletto e corsi verso la finestra:il cuore voleva un miracolo, come quello dei cervi. Ma stavolta non c’erano, se non nella mia immaginazione, nel mio ricordo come un miraggio lontano.

Facemmo colazione e parlammo con i nonni dei “nostri cervi”. Ognuno di noi si ricordava perfettamente di quell’incontro di due anni prima e spesso ci sorprendevamo a parlarne, quasi come un’abitudine.

Quando uscii dicasa, la neve era immacolata,tanto che non riuscivo a capire quanto fosse profonda. Rischiai il primo passo e capii che lo strato era piuttosto alto. Ma decisi di proseguire.Al secondo passo la gamba sprofondò di più e al terzo passo la neve arrivò fino al ginocchio.

“Oh-oh!”, pensai. ”Forse non è proprio una buona idea!”. E mi rigirai verso la porta di casa, infilando con cura e precisione i piedi nelle mietracce appena lasciate.

Restai per un po’ seduta sugli scalini,riflettendo su come uscire da questo”guaio” quando all’improvviso notai che era sceso di nuovo quel bellissimo silenzio tutt’intorno a me.Non c’era un’anima nel cortile: di nuovo quella sensazione di leggerezza e magia! Ero lì di nuovo, nel mio regno delle favole. Così, nella mia immaginazione, rividi i cervi e sentii il sussurro dei nonni che parlavano a bassa voce guardando dalla finestra...In quel momento mi misi a correre nella neve, dimenticandomi della profondità. Caddi e mi rialzai, proprio dove erano arrivati i cervi, in mezzo ai tre pini.

Ma i cervi vivevano solo dentro il mio cuore. Feci cadere a terra la pesante borsa con gli spartiti, alzai le braccia e ruotai lo sguardo verso il cielo. Un altro miracolo: nel silenzio più assoluto cominciò a scendere la neve. Il tempo si fermò mentre i cristalli di ghiaccio si appoggiavano sciogliendosi sul mio viso, ricadendo sulle ciglia e sui capelli. Aprii la bocca: volevo bere, sì proprio bere,l’aria di quella mattina così piena di mistero, d’amore e di pace.

”Sì, ora sono sicura che il mondo è bello”, sussurrai.

Che cosa successe dopo, se tornai a casa o proseguii verso l’università, non lo ricordo.

Nell’aprile romano, queste sensazioni rimanevano intatte dentro di me: la neve che cadeva, i cristalli che si scioglievano sul viso, i cervi, la voce dei miei nonni. Così mi addormentai, tranquilla e consolata. Le lacrime continuavano a scivolare lungo le tempie e poi sul cuscino.Ma non ero più tormentata, sentivo la mia anima serena. Avevo accettato il dolore: ero sicura di essere sempre e ancora sommersa dall’amore edalla protezione di tutti quelli che mi amavano.E anche se non li vedevo, mi bastava alzare lo sguardo in su e aprire le braccia.