Nyamgerel, quando la poesia
diventa un suono senza tempo

Nyamgerel Myagmar è narratore di canti poetici, uno dei pochi rimasti in Mongolia, musicista di fama internazionale del tradizionale morin khuur, il fantastico "violino delle steppe" che connota anche all'estero la musica tradizionale di questa terra e del canto di gola khöömii.

La sua biografia è davvero interessante: fin da bambino sognava di diventare musicista di morin khuur, e adesso il senso della sua vita è di essere un morinkhuurista e cantante khöömii - il narratore di canti poetici della Mongolia. Qual è la sua storia?

Sono nato in provincia di Khovd, somon di Erdeneburen, paese nei dintorni della maestosa montagna Tsambagarav dalla “neve eterna“ nella catena montuosa dell’Altai. Sono cresciuto contemplando con ammirazione la bellezza di questa particolare montagna ed è proprio questo che mi ha fatto diventare un cantante di khöömii e musicista di morin khuur. Anche la mia famiglia mi ha influenzato moltissimo perchè tutti interpretavano i canti khöömii e i "canti lunghi" tradizionali per le feste del paese.
Mio zio M. Altangerel non era solo un famoso compositore ma anche il primo cantante tradizionale di khöömii professionale apprendendo anche la teoria e la scrittura delle note musicale europee. È stato lui a darmi le prime lezioni di morin khuur quando avevo 15 anni e, quando ne compii 18, riuscii a cantare stili diversi sia di khöömii che di kharkhiraa. Mi insegnò il primo oratorio tradizionale dal mitico poema “La Lode all’Altai”(“Altain magtal”) .

Normalmente a che età i bambini possono cominciare ad apprendere lo studio del morin khuur?

In Mongolia, al Conservatorio selezionano e reclutano bambini di 13-14 anni per cominciare a studiare lo strumento del morin khuur, il sistema di insegnamento musicale e lo studio della teoria. I criteri per scegliere il repertorio sono basati su quelli europei, anche se la materia principale resta lo strumento del morin khuur e le tradizioni mongole tramandate da generazioni.
Nel mio caso, ho studiato sempre basandomi sulla tradizione, seguendo anche mio fratello che era allievo di Dovchin, il musicista di morin khuur più famoso in Mongolia. Perciò appresi soprattutto la tecnica di questo grande Maestro. Più tardi studiai anche con il maestro B. Avirmed, riconosciuto per i suoi meriti anche dal governo mongolo, come musicista di morin khuur e cantante tradizionale di tuulci, ovvero “il narratore di poemi – canti“. Ora sto collaborando con suo figlio, Baldandorji Avirmed, promuovendo ed esibendo la tradizione dei canti - poemi eroici tramandati di generazione in generazione - e delle epopee della Mongolia occidentale.

Oltre a lavorare come musicista e cantante tradizionale, partecipa ai molti festival nazionali ed esteri. Lavora anche come manager del famosissimo Museo di Bogdo Khaan, l’Ultimo Imperatore della Mongolia. Inoltre organizza eventi sia al Museo che per altre organizzazioni e associazioni con lo scopo di promuovere la musica tradizionale mongola.

Lavorare al Museo di Bogdo Khaan come manager è una grande soddisfazione. Nel 2014 nel cortile del Museo abbiamo costruito una gigantesca gher mongola e l’abbiamo chiamata “ Palazzo dei Canti Poetici Imperiali”; inoltre abbiamo eseguito e cantato dal vivo registrato e filmando in HD i video di circa 14 poemi-canti epici che comprendono circa 60.000 strofe per un totale di 90 ore di registrazioni video. Un lavoro monumentale inserito nell’Archivio Culturale Nazionale di Stato.

Chi meglio di lei può raccontarci il valore e l'importanza di questo bellissimo museo di grande valore storico-culturale?

Il Museo di Bogdo Khaan è il Palazzo d’Inverno, ma anche una delle residenze estive dell’ultimo Imperatore nonchè il Capo Religioso della Mongolia: rispecchia la vita dei suoi ultimi 20 anni. Questo palazzo fu costruito fra il 1893 e il 1905 e ha un valore inestimabile per la storia del nostro paese. Nel palazzo vengono salvaguardati ed esposti al pubblico più di 11.000 oggetti di valore, unici al mondo, della storia della Mongolia. Nel 1926, fortunatamente, il governo mongolo decise di far diventare il Palazzo di Bogdo Khaan un Museo in suo onore e memoria. Così questo luogo divenne il primo museo della Mongolia dove sono custoditi gli oggetti più preziosi e i tesori dell’ultimo khaan.

Ha già partecipato ad alcuni Festival Orientali in Italia e in Europa. Come ha vissuto queste esperienze? E le piacerebbe tornara a esibirsi per il pubblico italiano?

Ho avuto la fortuna e il piacere di suonare per il pubblico europeo promuovendo l’arte tradizionale mongola. Gli italiani mi hanno lasciato bellissimi ricordi. Sono persone dalle emozioni forti e dall‘animo caldo: cercavano di capire davvero quello che stavo suonando. Questo mi ha lasciato un sentimento molto caloroso verso gli italiani, facendomi emozionare a mia volta. È stato davvero indimenticabile! Ho tenuto concerti in Tirolo, a Merano, a Bolzano e in alcune altre piccole città del Nord Italia.

Ha collaborato con la televisione austriaca nell’organizzazione di un festival molto importante a Terelj di Ulaanbaatar per un documentario…

Sì, mi è stato proposto dall‘Associazione Culturaleaustriaca “KIK” di Schtaeirmark per partecipare a un loro progetto in collaborazione con la televisione ORF 2 e di produrre un documentario “Schtrassner Pascher go to Ulaandaatar”(road movie) e organizzare un festival a Terelj dedicato alla musica tradizionale mongola dei pastori nomadi a confronto con quella austriaca.

Che cosa racconterebbe ai lettori italiani della sua Mongolia?

I mongoli hanno una storia molto antica, legata profondamente al proprio territorio delle steppe sconfinate. Le tradizioni e la cultura sono basate sullo stile di vita nomade ovvero sullo spostamento continuo seguendo i loro animali in cerca dei pascoli nuovi, ma anche per la caccia. Perciò ogni cosa che comprende sia il modo di vestirsi, sia il cibo che gli strumenti per tenere e crescere gli animali, gli spazi per vivere e le abitazioni, tutto ciò si è sviluppato dalle condizioni di vita nella steppa. Ogni forma di vita è sempre stata collegata con gli animali, perciò ogni cosa prodotta per vivere, sia la carne che ogni altra cosa che rimane di un animale veniva utilizzata o riutilizzata in qualche maniera, e questo permise per secoli di sopravvivere. Anche ai nostri tempi ha sempre dato la possibilità di vivere indipendentemente in qualsiasi situazione. L’indipendenza di poter produrre ogni necessità per la vita ha reso lo vita dei mongoli libera e lo spirito fiero. Comunque, credo che questo modo di voler vivere liberi e indipendenti li ha resi anche guerrieri: evidentemente all’epoca, per avere la seta, il tè e altri oggetti di raro valore era difficile mettersi d’accordo con i Cinesi secondo le loro regole, a volte con gli inganni e prese in giro, e forse, incredibilmente, “ scoccianti “. Così i mongoli della steppa preferivano a loro volta  fare invasioni per avere quei beni senza dover seguire le regole dettati dai Cinesi... Spesso osservo che il nostro stile di vita è difficile da comprendere per le persone delle altre nazioni, di vita e cultura sedentarie, specialmente in Europa. Per esempio, la persona mongola di cultura nomade prende le decisioni “parlando e consultando” solo se stesso, far vedere troppe emozioni è considerata una debolezza dello spirito; il concetto della casa o della patria è totalmente diverso dal concetto di una persona europea: perché il nomade della steppa semplicemente carica la sua casa su un carro, prende tutti i suoi animali e va da un altra parte in cerca di pascoli freschi e “nuovi“ dove può montare la sua casa-gher tradizionale di nuovo! Ogni sua cosa la porta con se, e non c’è il sentimento di nostalgia per la casa, perché l’ha sempre appresso! Vivere indipendentemente da tutti senza obbedire a nessuno, si dice sempre di “cercare la propria strada giusta per te“, e ai figli si insegna di “non dipendere da nessuno“, questa è la filosofia derivata dalla vita tradizionale dei mongoli. Comunque, la vita dei mongoli trascorre in una grande solitudine che spesso li mette a dura prova, perciò ha fatto temperare lo spirito con una grande pazienza e resistenza. Uno stile di vita con abitudini pratiche e semplici, sempre pronti alle “sorprese“. Infatti, un poeta mongolo descrive lo spirito delle persone con queste parole: “La solitudine della steppa mi fece diventare uno lupo solitario e selvaggio".
Sicuramente, facendo così potrei raccontare tante cose, belle e brutte della vita dei mongoli, ma direi alle persone italiane, forse 100 volte di più si può sentire e capire com’è la vita dei mongoli dalla loro musica tradizionale e dai suoi canti tramandati di generazione in generazione.
Perciò, vorrei augurare con il mio canto erool (augurio) di poter incontrare e cantare per voi presto!

        Та бүхэнтэй Монгол дуу хуураар учиран золгохын ерөөл тавья !