ULAANBAATAR WEATHER

BENEDETTA MELE

SOTTO IL CIELO DELLA MONGOLIA

Durante le tre settimane in viaggio lungo le piste della Mongolia pensavo di essere finita in un’altra era, di aver sperimentato la macchina del tempo che mi aveva catapultata in un luogo lontano, lontano davvero.

E’ questa la sensazione più forte che ho provato in Mongolia, un Paese che la maggior parte degli occidentali non sa neanche dov’è collocato geograficamente e come si chiama la sua capitale…Ulaan Bataar. Anche all’aeroporto di Malpensa gli addetti allo scalo non sapevano dove indirizzarci! Quando il mio fidanzato mi aveva proposto di andare in Mongolia pensavo stesse scherzando, anche io lo ammetto fino a qualche mese fa non ne sapevo molto. Però mi aveva incuriosito l’idea di andare a scoprire una terra ancora poco conosciuta. Solo Gengis Khan e il deserto del Gobi mi dicevano qualcosa.

Così siamo partiti per Ulaan Bataar dove ci aspettava un pulmino con autista, l’interprete, la cuoca e tante avventure… L’unico punto di riferimento era il film/documentario “Il Cane giallo della Mongolia” uscito in Italia la scorsa primavera, utile per un primo approccio e soprattutto per prepararsi al fatto che le strade, come le intendiamo noi, erano praticamente inesistenti.

Fatta eccezione per il Deserto del Gobi, che si estende nel sud al confine con la Cina, non credo sia importante soffermarsi sui siti che abbiamo visitato. Non è come andare in Italia e vedere il Colosseo, i canali di Venezia, il Museo degli Uffizi…

In Mongolia non ci sono “cose” particolari da visitare, come musei, monumenti o animali esotici. E’ un Paese che trasmette emozioni.

Il cielo della Mongolia ne vale il viaggio, così blu, così terso, così basso da poterlo quasi toccare, con grandi nubi bianche e morbide da sembrare dei batuffoli di cotone. L’orizzonte è sempre infinito, migliaia di chilometri si stagliano di fronte a noi.

I suoi paesaggi sono unici, ogni tanto una o gruppi di gher, la casa tradizionale mongola dove vivono i pastori nomadi, l’80% della popolazione: le colline a ovest della capitale sono verdissime, punteggiate di fiori d’alta quota dai mille colori. Cosa dire, invece, delle distese di stelle alpine, da noi ormai una rarità? Se la guida non mi diceva che potevo raccoglierle, non avrei osato toccarle, pensando come da noi sono oramai diventate una specie protetta.

La steppa del nord al confine con la Siberia russa è punteggiata di piccoli e grandi laghi, come il famoso Khovsgol; il vento, che soffia sempre a raso terra, è freddo anche ad agosto. L’inverno è molto lungo, dicono, e da settembre questa zona comincerà a coprirsi di neve e i laghi si ghiacceranno fino a maggio.

Questa zona è terra di sciamani, che con i loro “poteri” predicono il futuro. Ammetto di essere stata molto scettica e di non essere stata coinvolta da questi rituali caratterizzati dai fiumi di vodka che “mettono in contatto” i santoni con gli spiriti. Mi ha colpito però tanto il fatto che questa gente ci creda veramente: anche la nostra guida buddista e la cuoca cattolica non hanno rinunciato ad ascoltare il consiglio dello sciamano del luogo.

La gente è incredibilmente straordinaria se si pensa che vivono in condizioni ambientali difficilissime. Otto mesi l’anno la Mongolia raggiunge temperature oltre i 30 gradi sottozero. Questo fa sì che la sua terra non possa essere coltivata.

La gente qui mangia tanta carne, l’unica vera risorsa sfruttata dalla popolazione. I pastori allevano pecore, capre, mucche e yak. Per un mongolo è inconcepibile non mangiare la carne e questo l’abbiamo provato sulla nostra pelle. Un uomo è un vero uomo solo se a pranzo e cena mangia carne!

Il tempo scorre tranquillo. I mongoli non hanno fretta e non sanno bene definire le distanze, per loro non esiste il concetto di perdere tempo per trovare la strada. Prima o poi si arriva dappertutto. Questa è stata la difficoltà maggiore da condividere con loro nei 20 giorni di tour.

Devo anche dire però che in questo modo abbiamo conosciuto un popolo e la sua cultura, tanto diversa ma tanto affascinante.

Un’altra curiosità è che i mongoli non hanno il senso della privacy. Nelle gher entrano sempre senza bussare. A noi è capitato una mattina: il ragazzo che accendeva la stufa a legna si è addormentato, come se fosse a casa sua, sul letto della nostra gher senza preoccuparsi di noi.

Infine, il deserto del Gobi, uno spettacolo della natura. Ho visto diversi deserti ma questo è assolutamente unico con le sue distese di fiori. Le montagne rocciose sono intervallate da una lunga catena di dune di sabbia, che si estende per 180 km, e da qualche corso d’acqua. Ogni tanto si incontrano mandrie di cammelli, ogni tanto una gher abitata da persone che non vedono quasi mai passare nessuno; ogni tanto qualche ricercatore viene in questa landa sperduta a studiare i siti con i ritrovamenti dei dinosauri.

Un consiglio a chi desidera andare in Mongolia. Se non siete dei veri fanatici dell’avventura credo che due settimane bastino per assaporare questo Paese! Tre come abbiamo fatto noi sono tante considerando i disagi degli spostamenti, soprattutto a nord verso la Siberia. Piuttosto è meglio volare, come prima tappa, da Ulaan Bataar fino a Moron.

Benedetta Mele