ULAANBAATAR WEATHER

CARLA SASSI E FRANCESCO CIGADA

Agosto 2005

Arrivo. Il visto non ha posto problemi agli aeroporti di Malpensa e Ulaan Baatar: la stampa della ricevuta di una prenotazione per una guesthouse, fatta via Internet a Milano, è stata un lasciapassare sicuro. In meno di un’ora dallo sbarco, carichi dei soli bagagli a mano, siamo alla Idre’s guesthouse, celata al terzo piano di un edificio introvabile, da cui sono venuti a prenderci.

Capitale. Ulaan Baatar è l’unica città della Mongolia che offre cose altrove non più trovate nel nostro girovagare: dinosauri tutti interi (un museo da non farsi sfuggire, in altri luoghi si incontrano solo uova e ossa), il comfort dell’acqua calda (nelle periferie sperdute ci siamo accontentati di modalità più severe nel lavarci), un museo storico documentato (nei centri minori vi sono soprattutto animali impagliati e icone religiose), cibi vari e menù in inglese (per il resto del paese sostituiti da montone onnipresente e da menù cirillici), uno spettacolo imperdibile di danza e musica al Tumen Ekg (anche se a Karakorum l’evento serale di un mini Naadam Festival è stata una tappa avvincente e gradevolissima), strade asfaltate (sostituite altrove da piste più o meno praticabili).

Gobi. Le tre tappe classiche: le colline di terra rossa di Bayanzag che celano dinosauri sotto il suolo scuro e mostrano rapaci sopra il cielo blu; le ricerca impossibile della valle di ghiaccio nelle strette gole dello Yolin Am; le discese in scivolata dalle grandi dune di Kongoryn Els. Tre luoghi memorabili collegati da piste che si diramano in continui delta tra spoglie di cammelli essiccate dal sole e timide gazzelle che fuggono saltando.

Karakorin/Karakorum. Nel grande monastero di Erdene Zuu i monaci riescono contemporaneamente a pregare e a sfidarsi con nuovi videogiochi; gli ovoo dai nastri azzurri sono qui uniformi, mentre altrove si sono addensati come accumulo devoto di sassi dai vari colori, crani e ossa indifferenziate, bottigliette di acqua e lattine di birra; ma altrove molto probabilmente tutto può fare preghiera.

Terkhiin Nuur. Il lago si trova in quota; eppure si può prendere un tiepido sole e fare un bagno senza intorpidirsi dal freddo, cimentarsi in ampie e mutevoli passeggiate a cavallo, tirare qualche colpo al bigliardo, imbattersi in una stella alpina e in una genziana tra i moltissimi fiori che colorano il paesaggio, diversamente dai consueti verde steppa e bruno terra. Nei dintorni si può salire e girare attorno al cratere del vulcano Khorgo, trovarsi in piccolissimi villaggi dal nome impossibile, fare incontri inattesi ma garantiti a coloro che escono dal seminato.

Erdenet. Le miniere di rame e molibdeno continuano a vivere al di là dei russi (scesi al 49%) attraverso un ciclo continuo e ininterrotto di terriccio e polveri. Un camion scarica ogni trenta secondi durante ogni ora di ogni giorno circa 15 tonnellate di roccia al 2%; e si continuerà a scavare per svariati decenni. Poi via, si torna al centro: il treno di notte percorre un tratto di Tansmongolica in cuccette confortevoli e permette una solita tipica cena sulla carrozza ristorante accanto a mongoli in tiro.

La viabilità stellare. Tutte le strade (piste) portano a Ulaan Bataar, centro di gravità assoluto. Le piccole connessioni laterali si trovano essenzialmente sulle carte. La sfida del nostro viaggio è stata tornare alla capitale solo alla fine. Se a volte è stato duro costruire tale circuito, l’obiettivo è stato raggiunto.

Il clima apprezzabile. Il vento rumoreggia soprattutto di notte. D’estate il clima funziona: forse un poco di foschia di troppo, ma si sta bene. Però a volte la stufa viene accesa in gher la sera … e poi al mattino ci si sveglia infreddoliti. Allora la domanda è: come fanno a venti o trenta gradi sottozero?

La gher per dormire. Trovare un riparo per la notte non è un problema: basta chiedere e ovunque si trova una gher disposta a ospitare per pochi tugrig … se non si fa troppo caso al duro e al freddo. Le gher sono solide ed efficienti, accoglienti ed essenziali, si costruiscono in mezz’ora, hanno una climatizzazione versatile sui lati e in alto.

Il cibo quotidiano. Mangiare non è un problema, in molte gher ci sta qualche donna disposta ad accendere il fuoco … e dopo circa un’ora ha preparato un prevedibile brodo di montone con tagliolini e verdure … se non si resta troppo sottili sul gusto.

Le insidie dei trasporti. Viaggiare può essere un problema. Pochi mezzi pubblici, che partono solo se pieni; e pieni significa in sette su un’auto giapponese, in otto dentro una jeep russa, in diciassette all’interno di un minivan coreano. L’autostop a pagamento va bene (occorre contrattare prima e viene offerto un ventaglio aperto) ma i mezzi che passano sono pochi e carichi. Se fai un contratto per una jeep, devi raddoppiare il costo per il suo ritorno a casa. E proprio qui accadono le cose più interessanti, come la sconclusionata Range Rover del primo segretario o il corteo che trasporta metano di cinque camion russi alla Overland.

Le comunicazioni emergenti. I telefonini sono diffusi nei luoghi più impensati e ci si invia soprattutto SMS; questa presenza telematica appare anche in zone dove la copertura è assente/limitata. D’altronde pannelli fotovoltaici e parabole si trovano anche in gher isolate e distanti alcune decine di chilometri dalla gher più vicina.

I cammelli e altri animali. I mongoli forse passano una metà della loro vita a cercare i loro animali … li si vede in giro a cavallo o in moto che si spostano attraverso il nulla. Sono cose che stanno in un osso a quattro facce del piede. Nell’astragalo una faccia rappresenta un cammello, l’altra un cavallo, la terza una pecora, l’ultima una capra; li si vede vagabondare in giro, in branchi più o meno grandi, nelle distese dai confini lontani.

L’igiene garantita. I cessi sono grandi buche protette e coperte, scavate a una distanza media di 100 metri dalle due o tre gher isolate; e va bene per l’igiene. Ma i piccoli centri con molte abitazioni vi è solo un cesso in comune e una coda inevitabile nelle fasce di frequenza. L’acqua fuori dai centri abitati non c’è; ma ci sono i pozzi e un grande thermos cinese di acqua calda scaldata al fuoco di legna è sempre disponibile per molteplici funzioni.

I bambini tra i piedi. I bambini fanno tutto quello che vogliono: non si usa sgridare, solo sorridere. I piccolissimi possono mangiarsi le scorte strategiche dei turisti in modo totalmente sereno e ridente; giochi per bimbi si trovano in qualsiasi spazio simile a una piazza; i giochi con gli astragali o direttamente con gli agnelli con una semplicità e una grazia incantevole.

La cortesia della gente. Le gente nelle gher non ha praticamente nulla. L’acqua sta nel pozzo, il combustibile organico (radici e feci) nel mucchio, due pentole a calotta per la stufa a legna … e questa gente è serena, tranquilla, pacata; disponibile ad aiutarsi in ogni caso, sempre pronta a un sorriso gentile, sensibile a un piccolo scambio (un dolcetto contro una caramella, una sigaretta per un osso), mai invadente nelle tue cose.

Gli spazi sconfinati. Sul fondo si elevano stabilmente delle basse montagne omogenee, dai tenui colori a strati; davanti si distendono delle vaste quasi-pianure senza limiti, i cui colori pastello variano di continuo. Vi è sempre un orizzonte in cui l’occhio si perde anche se si ruota attorno sé stessi: è una delle rappresentazioni più simili a un vuoto pieno di sensi.

La fine dei morti. Dove finisce chi muore? Non ci sono cimiteri… apparentemente la natura riesce a mangiarsi e riassorbire tutto, anche gli oggetti che vengono costantemente buttati fuori dai finestrini delle poche auto.