ULAANBAATAR WEATHER

FRANCESCO PIZZIRANI

Quando mi capitava di osservare il planisfero appeso sulla parete di camera da letto, spessissimo lo sguardo si posava su un paese immenso situato fra i due giganti Russia e Cina, nel quale nient'altro era rappresentato se non la capitale dal nome affascinante e un po' buffo: Ulan Bator. Mi immaginavo perciò che la Mongolia fosse un enorme deserto stepposo in cui vagavano pochi disperati che erano costretti alla vita nomade per sopravvivere, indegni eredi del più grande impero che la Terra abbia mai conosciuto. Mi immaginavo però anche che, come sovente accade, tali supposizioni potessero essere profondamente errate e che invece il paese avesse delle attrattive che in effetti, a pensarci bene, portavano da quelle parti molte persone che ne ritornavano poi entusiaste. Così, quando nella primavera del 2007 io e Francesca ci siamo chiesti che tipo di viaggio fare l'estate successiva, io ho buttato lì la Mongolia. Alla ovvia domanda "Ma che c'è in Mongolia?" abbiamo cercato maggiori lumi indagando su internet, e scoprendo che in effetti il viaggio poteva essere assai interessante, oltretutto in un paese sicuro e, cosa non da poco, senza alcuna necessità di vaccinazioni. La scoperta del sito www.mongolia.it, è stata la svolta: Federico Pistone ci ha trasmesso un grande entusiasmo e consentito di organizzare al meglio il viaggio con Amgalan, oltre a conoscere i nostri tre mitici compagni di viaggio Serena, Daniela ed Hervè.

Abbiamo così capito che avremmo visitato un paese immenso, vario e ancora relativamente poco frequentato dal turismo, con paesaggi che spaziavano dalle montagne alle steppe al deserto del Gobi, punteggiati dalle gher, le caratteristiche abitazioni dei mongoli e dai templi buddisti risparmiati dalle purghe staliniane degli anni '30. Saremmo andati a cavallo e sul cammello, sperimentato la tradizionale ospitalità mongola (ingestione di improbabili cibi quali l'airag, latte di cavalla fermentato, compresa) e percorso strade (strade?) ai limiti della praticabilità.

La prima tappa è stata naturalmente Ulaanbaatar, la capitale, dove siamo giunti con il Tupolev dell’Aeroflot da Mosca e dove ci ha accolto Bagi, un simpaticissimo ragazzo mongolo alto un metro e novanta, la nostra guida. La città ha appena superato il milione di abitanti, è caratterizzata da un traffico caotico e da tanti edifici in costruzione, segno di un paese che sta provando a rinascere dopo la “rivoluzione democratica” del 1991, anno del crollo del sistema comunista. Intorno alla piazza Sukhbaatar si snoda il centro cittadino affollato di gente, fra cui tante donne e ragazze vestite alla moda occidentale: uno degli aspetti che mi ha più colpito della Mongolia è la condizione della donna: la maggioranza delle impiegate sono donne, l’80% degli studenti universitari, secondo Bagi, è donna e ovunque si percepisce, almeno ad uno sguardo superficiale, un livello di emancipazione sconosciuto in altri paesi del mondo. Ad Ulaanbaatar abbiamo dormito in famiglia, in un dignitoso appartamento al primo piano di un edificio di stampo sovietico poco lontano dal centro, visitando i principali monumenti e punti di interesse (piazza Sukhbaatar, il palazzo d’inverno di Bodg Kahn, il Gandan, il tempio di Chojin Lama). Dopo due giorni siamo partiti per la grande avventura in 4x4: la prima parte del viaggio ci ha portato verso nord, lungo la strada (asfaltata) che da Ulaanbaatar conduce verso la Russia; prima della città di Darkhan abbiamo svoltato a sinistra, sempre sulla strada asfaltata, per poi, subito dopo aver superato il fiume Orhon (un affluente del Selenge, il maggiore fiume della Mongolia), prendere la prima delle strade sterrate del nostro viaggio, attraverso la quale ci siamo inerpicati per le colline fino a raggiungere la vallata in fondo alla quale si trova il monastero meglio conservato della Mongolia: Amarbayasgalant. Qui abbiamo trascorso due notti in un campo gher all'inizio della vallata e, oltre a visitare il monastero e le vicinanze, abbiamo anche fatto visita ad una famiglia che viveva nei pressi e, per una fortunata circostanza, abbiamo potuto assistere alle manifestazioni legate ad un festival organizzato dal monastero che si è tenuto proprio in quei giorni, fra cui la spettacolare corsa equestre dei piccoli cavalieri. Dal monastero di Amarbayasgalant al lago Hovsgul, la nostra tappa successiva, la distanza è veramente notevole: almeno 500 km di cui la maggior parte senza una strada degna di questo nome. L'asfalto infatti finiva presso la città di Bulgan, dopodichè ci si addentrava in lande sperdute in mezzo a montagne ricoperte (perlomeno sul versante settentrionale) dalla taiga siberiana, fino a raggiungere quasi i confini settentrionali della Mongolia, in corrispondenza del lago Hovsgul, un gigantesco specchio d'acqua (contiene il 2% di tutta l'acqua dolce del mondo!) considerato il fratello minore e più giovane del lago Bajkal, che è situato appena a 150 km a nordest. Data la distanza, ci siamo fermati a dormire in tenda nei pressi del cono di un vulcano estinto, l'Uran Togoo Uul per poi proseguire il giorno successivo verso Moron, per raggiungere la quale abbiamo anche attraversato su una zattera il fiume Selenge e successivamente Khatgal, la cittadina sulle sponde del lago nei pressi della quale era situato il nostro campo gher. Il viaggio è stato lungo e faticoso, ma i paesaggi attraversati erano bellissimi e, per fortuna, il tempo (a parte qualche pioggia pomeridiana il primo giorno , subito dopo Bulgan) estremamente positivo. Gli ultimi 6 km, da Khatgal al campo gher sono stati terrificanti (la non-strada era piena di radici, sassi, dossi, pietre e non si arrivava mai) ma il posto, immerso nella foresta siberiana sulle sponde del lago, ci ha compensato delle fatiche fatte, dandoci la possibilità di farci una passeggiata a cavallo e addirittura di una gita in gommone....

Dopo due notti trascorse al lago, al momento di ripartire, per la prima volta da quando eravamo in giro, il tempo appariva decisamente peggiorato: cielo velato, freddo (qua se non c'e' il sole fa sempre freddo) e minaccia sempre più concreta di pioggia. La nostra successiva meta era la regione montuosa del Terkhiin Tsagaan Nuur (un altro lago) e del vulcano Khorgo: anche in questo caso il tragitto ha richiesto due giorni dovendo attraversare catene montuose e passi percorrendo centinaia di kilometri; era perciò prevista una seconda notte da trascorrere in tenda ma, dato il maltempo, abbiamo vissuto l’esperienza di dormire in una locanda, invero spartana, in un tipico villaggio mongolo, semideserto data la stagione estiva. Abbiamo poi visitato il lago, che si è formato a causa dell'eruzione del vulcano Khorgo che ha bloccato il corso del fiume Chuluut, e abbiamo fatto un'escursione fino alla cima del cratere dello stesso vulcano, estremamente spettacolare. Dopo un paio di giorni nella zona, ci siamo spinti ancora più a sud-est nell'aimag dell'Arkhangai fino a raggiungere una singolare pietra alta 25 metri che si erge solitaria in mezzo alla prateria sulle sponde di un fiume: il Thaikar Chuluut, luogo sede di numerose leggende locali. Qui, ospiti di una famiglia nella gher, ho assaggiato finalmente l’airag, senza le paventate nefaste conseguenze per il mio stomaco: Bagi mi ha detto che potevo sentirmi un mongolo a tutti gli effetti! Siamo successivamente ripartiti per Kharkhorin, l'antica Karakorum, la vecchia capitale del tempo di Gengis Khan che, secondo quanto ci hanno detto, entro il 2030 dovrebbe di nuovo diventare la capitale della Mongolia. A Kharkhorin c'è il monumento più visitato dell'intero paese, l'Erdene Zuu Khild, il monastero circondato da un quadrilatero costituito da 108 stupa. Per arrivare a Kharkhorin abbiamo attraversato l'aimag di Arkhangai, passando per il capoluogo Tsetserleg ed effettuando una deviazione sulle montagne per fare una sosta in una stazione termale dove ci siamo rilassati facendo un bagno nell'acqua bollente. Il tragitto è stato caratterizzato dalla giornata più piovosa del viaggio, e vedere all'opera il nostro autista mentre si districava per non rimanere impantanato nelle strade fangose è stato motivo di interesse e preoccupazione...

L'ultima parte del viaggio ci ha portato nel sud del Paese: dopo giorni e giorni di verde, montagne, alberi e tantissimi animali, abbiamo cominciato a vedere il panorama cambiare lentamente verso la steppa, fino a trasformarsi in deserto vero e proprio: il deserto del Gobi, ritenuto uno dei più infidi del mondo, con temperature che d'estate possono superare i 50° ma che d'inverno, di contro, scendono oltre i 40 sotto zero. Abbiamo percorso tantissimi km per raggiungere le piccole ma spettacolari dune sabbiose di Motshgol Els, le Rupi Fiammeggianti, dove sono stati trovati fossili e uova di dinosauro e lo Yolin Am, una incredibile gola in mezzo alle montagne al centro del Gobi dove il torrente rimane gelato anche 11 mesi l'anno (non ad agosto, comunque!!). Il tutto, con il deserto sorprendentemente verde a causa delle inusuali abbondanti piogge da poco cadute: uno spettacolo emozionantissimo. Il ritorno ad Ulaanbaatar, non privo del brivido dell’avventura quando ci siamo persi nel deserto con un’incombente tempesta di sabbia, ha concluso un viaggio spettacolare in un paese che potrei definire sorprendente. Sorprendente per lo spettacolo offerto dalla natura, per la mitezza e gentilezza dei suoi abitanti, per il livello di emancipazione delle donne, per la lingua, incomprensibile e dura ma nello stesso tempo dolcissima, e sorprendente per il desiderio di modernizzarsi senza cancellare le proprie tradizioni: la gher con la parabola e il pannello solare è il simbolo di quest’ultimo aspetto che magari potrà non piacere al turista, ma che testimonia un’equilibrata predisposizione al legittimo progresso. Di nuovo, un grazie di cuore a Federico Pistone per l’entusiasmo e il supporto che ci ha dato, consentendoci di vivere una bellissima esperienza. (Il resoconto dettagliato del viaggio con tutte le foto è su www.decano.it)

Francesco Pizzirani