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VIAGGIO IN MONGOLIA

di Guglielmo di Rubruk - a cura di Paolo Chiesa
2011 Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori Editore - 640 pagine 30 euro

Nel 2002 l'editrice Marietti aveva riproposto lo straordinario "reportage" dall'impero mongolo del francescano Guglielmo di Rubruc datato 1253 (vedi recensione). Ora la Fondazione Valla con Mondadori presentano un'ulteriore versione, certamente più prestigiosa. Dalla presentazione di Pietro Citati: "Nel corso del Viaggio in Mongolia, contempliamo una serie di mirabili scene, dove i gesti, gli oggetti, i riti, le funzioni cristiane si fondono nel racconto politico. Ecco Rubruk e i suoi compagni penetrare nella tenda di feltro bianco mostrando i libri e i paramenti sacri; oppure indossare gli abiti più preziosi; oppure tenere sul petto una Bibbia e un salterio; oppure innalzare l'incenso col turibolo; o intonare il Salve Regina o il Veni Sancte Spiritus. Intanto il khan esamina con estrema attenzione il Salterio, il crocefisso, il turibolo, le preziose miniature della Bibbia. Mentre siede su un trono lungo e largo simile a un letto, decorato d'oro, i missionari stanno in piedi senza inchinarsi, nel silenzio più assoluto, il tempo di un miserere: perché i cristiani si prosternano solo davanti al Signore. Cosa colpisce, in queste scene bellissime, è la reverenza reciproca: come se il cattolico d'Occidente potesse riflettersi soltanto nel gesto del terribile e grave khan orientale. Guglielmo di Rubruk non amava i sacerdoti «orientali» (o nestoriani), incontrati alla corte del khan: li giudicava ignoranti, avidi, simoniaci, ubriaconi; e sopratutto pensava o sospettava che fossero eretici o eterodossi. Non sapeva che i loro riti erano, spesso, quelli della Chiesa orientale del III secolo, e serbavano il profumo di un passato antichissimo: come la farina del pane dell'ultima cena, o la croce senza corpo del Cristo, o la preghiera a mani aperte davanti al petto. In un punto, i nestoriani avevano profondamente innovato. Il kumys, il latte di giumenta fermentato, che faceva facilmente inebriare, apparteneva ai simboli essenziali della cultura mongola: ora, i nestoriani avevamo integrato le libagioni di kumys nella cerimonia dell'eucarestia, trasformando la messa in una specie di rito dionisiaco".


Dall'introduzione di Paolo Chiesa: "La Parola di Dio fa pochi proseliti fra i Mongoli; essa sembra stranamente impotente o inefficace. Uno dei punti in cui Guglielmo appare più schiettamente sorpreso è l'episodio che conosciamo anche da Giacomo d'Iseo, il tentativo di predicare al potentissimo Batu. Il viaggiatore saluta il capo con un augurio ("Mio signore, noi preghiamo Dio, da cui proviene ogni cosa, Lui che questi beni terreni ha concesso a voi, di concedervi anche i beni celesti oltre agli attuali che nulla valgono senza quelli!"), e subito prosegue annunciando il messaggio di fede: "Sappiate per certo che i beni celesti non li potrete ottenere se non sarete cristiano; perché chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi non crederà sarà dannato"". L'enunciazione è solenne, solenne la coreografia, nella yurta del capo, con tutti i suoi guerieri attorno; Guglielmo - e noi con lui - si aspetta che la Parola abbia un effetto potente, se non miracoloso e ne segua una storica conversione. Invece il Principe sghignazza, e tutti i suoi uomini si mettono a rumoreggiare in segno di scherno; il frate mantiene il suo sangue freddo ma l'interprete mostra di temere per la vita"