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20 giugno 2021 CULTURA

Il modello ecologico dell'invasione mongola

Pubblichiamo la singolare nota diplomatica di James Hansen (nella foto), diplomatico, direttore della rivista di geopolitica “East”, sul ruolo “ecologico" dell'invasione mongola di Gengis Khan.

La storia, in questo caso — unico — scritta dagli sconfitti, non è stata generosa con Gengis Khan.
Di lui, nato nel 1162 in un angolo sperduto della Mongolia, si ricorda principalmente che dopo aver unificato le tribù turco-mongole, le condusse alla conquista della maggior parte dell’Asia centrale, della Cina, della Russia, della Persia, del Medio Oriente e di parte dell’Europa orientale. Quello di Gengis fu, per quanto di breve durata, il più vasto impero terrestre della storia umana. Raggiunse alla massima estensione i 24 milioni di km², arrivando a controllare un quarto della popolazione della Terra. Tutta l’operazione fu compiuta in soli 73 anni grazie alla marcata tendenza dei Mongoli di andare per le spicce. Le loro vittime sono stimate in 40 milioni di persone; tante, visto che la tecnologia dell’epoca obbligava perlopiù ad ucciderle una alla volta e con metodi assolutamente artigianali.
Tutto ciò, come anche il fatto di essere per tradizione nato sul Deluun Boldog — il “colle della malinconia”— ha contribuito a far sì che il Grande Khan sia spesso ricordato come un mostro sanguinario.
Ma, come si dice, non si fanno le frittate senza rompere le uova e c’è chi trova nella spaventosa devastazione mongola un interessante modello ecologico.
Partendo dall’ipotesi secondo cui eventi storici come guerre ed epidemie potrebbero forse impattare sul quantitativo di CO2—anidride carbonica, il “gas serra” per eccellenza — nell’atmosfera, un gruppo di ricercatori del Carnegie Institute, del Max Planck Institute e dell’Università di Amburgo ha calcolato gli effetti climatici di quattro grandi stravolgimenti umani: l’Invasione Mongola, la Peste Nera, la Conquista delle Americhe e la Caduta della Dinastia Ming. In teoria, eventi come questi—specialmente attraverso la massiccia distruzione dell’agricoltura— avrebbero potuto provocare la “cattura” di CO2 da parte degli alberi che sarebbero tornati a occupare i campi abbandonati dopo il crollo sociale creato dai vari disastri politici, militari e sanitari.
I ricercatori hanno scoperto invece che l’impatto dei cataclismi umani sulla riduzione del gas serra mediante la riforestazione dei terreni agricoli, oltre a essere parecchio lento e di portata molto modesta, viene contrastato in gran parte dalle emissioni provenienti dal resto del mondo. Per gli studiosi, tra i disastri umani, solo l’invasione mongola avrebbe potuto influire in maniera misurabile sul livello globale di CO2 nell’atmosfera. Infatti, calcolano che la tremenda avanzata del Khan, radendo al suolo vasti territori e cancellando intere civilizzazioni, potrebbe aver avuto l’effetto di togliere dall’atmosfera fino a 700 milioni di tonnellate di carbonio — all’incirca la quantità di CO2 generata in un singolo anno dal consumo globale di petrolio — attraverso il ritorno allo stato naturale delle terre prima occupate e coltivate.
La Coordinatrice della ricerca, Dr. Julia Pongratz, dice: “Sulla base della comprensione del passato, ora siamo in grado di prendere decisioni sull’utilizzo delle nostre terre che diminuiranno l’impatto sul clima e sul ciclo del carbonio. Non possiamo ignorare la conoscenza acquisita”.
Dove si trova però un’orda mongola quando serve?

James Hansen