04.08.09 MALPENSA
Partenza da casa alle 5:30 dopo una notte insonne, è troppa la tensione. La sera precedente è stata spesa da Massimo dove abbiamo cenato in compagnia di amici e brindato al successo del viaggio. A casa, poi, gli ultimi febbrili preparativi.
Nel bagaglio mancano cose fondamentali: medicine, prodotti per l’igiene personale, soldi e documenti, debbo concentrarmi nonostante la stanchezza, mi riposerò domani sul lungo volo di 10 ore che ci porterà in Mongolia. Paura!!! Accendo casualmente il cellulare e arriva perentoria una chiamata di Meuccio: “Gnèssa un kànker ! La partès mia ! Ciàma un taxi !” si sente solo questo monologo in cui è impossibile inserirsi, sembra una frase registrata che non accetta repliche. Si sente in sottofondo il motorino d’avviamento che esala gli ultimi respiri e un salmodiare blasfemo...non rimane tempo da perdere, i minuti sono contati, non posso perdere il treno, cerco l’elenco del telefono nel blob che mi circonda e incredibilmente lo trovo. Ora addirittura un overbooking, troppa grazia, arriva un taxi bello capiente, una Fiat Multipla e contemporaneamente la telefonata di Meuccio che giura di avere riesumato la Bentley...non posso crederci ! Carico bici e zaino lasciando incredulo l’autista sulla mia destinazione: Mongolia!!!!! Laconico il suo commento: “I màat in mia tòt dèinter !!!”
(...) Angelo, che è salito a Modena, mi aiuta a caricare la bici, cerco di dormire nel tragitto in treno ma lo stress accumulato è troppo e non mi permette di chiudere occhio. Niente carrelli a Milano Centrale per caricare bici e bagagli, roba da terzo mondo, ci arrangiamo usando le braccia lasciate libere dagli zaini.
L’ultimo tratto che ci separa dall’autobus navetta per Malpensa lo facciamo con le bici caricate su di un carrello di fortuna fornito da un indiano che si guadagna la giornata con qualche spicciolo.
All’aeroporto incontriamo Enrica, insegnante d’informatica di Pinerolo, cittadina a due passi da Torino. E’ vedova da quindici anni, madre di due ragazzi di 27 e 30 anni e, nonostante abbia superato da un po' la cinquantina, ha uno spirito davvero invidiabile, un mix di entusiasmo e dolcezza davvero raro. (...) Arriviamo a Mosca verso le ore 18 locali, il clima è gradevole, nubi, sole, tanto verde tutto attorno all’aeroporto. Dall’alto avevamo intuito la grandezza della capitale circondata da tante piccole cittadelle che costituiscono il cosiddetto Anello d’Oro. Due passi all’interno dell’aerostazione poi alle 20:30 imbarco per Ulaan Baator, 4600 km più a est, cinque ore di volo con arrivo previsto l’indomani alle sette del mattino. Il Boeing 747 con i suoi 48 metri di apertura alare sta volando sicuro verso la sua destinazione……domani, con un po’ di fortuna, toccheremo il suolo mongolo.
05.08.09 ULAAN BAATOR
Sono le 5:30 e l’alba ha tinto di un rosso e arancio drammatici il cielo mongolo coperto da grandi nubi nere…speriamo bene! Tra mezz’ora dovremmo atterrare a Ulaan Baator, poi vi racconterò. Alle 6:15 landing perfetto e alle 7 siamo già fuori dall’aeroporto Genghis Khan.(...) Verso le 12 svegliamo Angelo e facciamo due passi in centro, dobbiamo recarci a cambiare valuta e poi al ristorante dove abbiamo il primo approccio con la cucina mongola. Non male, carne e verdure saporite, solo il bere è tragico, latte con tè e sale, provare per credere! (...) Cosa dire di Ulaan Baator ? Intanto il significato di questo strano nome e cioè Rosso Eroe, in onore del soldato sovietico liberatore della patria mongola. Ha poco meno degli abitanti dell’intera Mongolia e subisce ogni anno un incremento demografico. Quando negli anni 1990-91 avvenne lo smantellamento dell’impero sovietico la Mongolia, la cui economia era fortemente legata ad esso, ebbe un grande crollo e la lusinga di trovare lavoro nella capitale indusse molta gente a urbanizzarsi Tutt’ora il fenomeno persiste con un tasso di disoccupazione del 20% e uno dei tassi alcolici pro capite più alti al mondo. Il governo è purtroppo incapace di scoraggiare questa tendenza.
Raccogliamo ciò che rimane delle nostre energie e azzardiamo una visita al Museo di Storia Mongola, dobbiamo arrivare a sera resistendo alla tentazione del sonno per adattare il nostro fisico al cambiamento d’orario, qui siamo sei ore più avanti che in Italia. Gli oggetti esposti al museo sono molto interessanti ma l’attenzione richiede uno sforzo enorme, siamo alle corde e così decidiamo di rincasare dopo avere fatto spesa al supermercato. (...)
06.08.09 ON THE ROAD km 338 sul van
Non metto la sveglia, sono già le sette, dobbiamo sbrigarci !!! Ci affanniamo ma, tra colazione e preparativi, abbiamo quasi un’ora di ritardo. Portare in strada bici e zaini dal nono piano è una bella impresa, l’ascensore fa quello che può…. e noi pure ! Usciamo da Ulaan Baatar in direzione ovest, rimango sorpreso dalle dimensioni della città che ospita circa un milione di abitanti dei due e mezzo dell’intero paese, dice l’autista che per attraversarla si devono fare cinquanta km, incredibile. (...)
Riprendiamo il largo per il lontano ovest sfruttando i pochi km di asfalto mongolo…..per il resto del viaggio ci attendono solo piste, è inutile consumare i copertoni delle nostre MTB in questo tratto.
Incontriamo una famiglia mongola in bicicletta, padre, madre e un ragazzino che sono partiti solo il giorno prima dalla capitale con l’intento di raggiungere l’Europa attraverso tutti i paesi dell’Asia Centrale. Tre, forse cinque anni, bellissima prospettiva, ci percorre un brivido di timore o forse d’invidia pensando a quante genti conosceranno ! Sono di professione artisti, lui calligrafo e lei pittrice, fortunato loro figlio ad avere due genitori così fuori dalle righe, chissà quanti ricordi bellissimi custodirà per sempre. Ci regalano una maglietta con i colori della nazionale mongola di calcio, Enrica li ricambia con un paio di pantaloncini che sfila dal suo zaino. (...)
Di nuovo sul furgone, dopo alcuni km compaiono dune sabbiose che ci fanno pensare a come deve essere il paesaggio del Gobi molto più a sud. Bello scorcio ma troppo poco genuino, non siamo abituati a condividere situazioni del genere con i turisti di turno che salgono sui cammelli, forse i nostri accompagnatori non ci capiranno ma….impareranno a conoscerci !
Vogliamo accamparci soli, nello spazio infinito, è una dimensione che ci affascina perché così rara da noi in Italia, rifuggiamo ogni contatto con il consueto almeno a queste longitudini.
Così, una dozzina di km prima di Kharkorin, decidiamo di montare il campo. Ci sono una bella tenda da adibire a mensa e ricovero delle bici e due tendine a igloo nelle quali dormire.
Angelo si dimostra un ottimo meccanico e rimette in sesto la bici di Enrica, pezza sulla camera d’aria posteriore e cambio da registrare, tutto eseguito a regola d’arte, complimenti !
Poi tutti a tavola, la cuoca ci ha fatto dei bocconcini di carne con verdure davvero buoni e delle penne multicolori, pasta di origine russa. Tristi, insipide e un po’ scotte, sarà la qualità scarsa del grano o la disabitudine a cuocerle, il convento non passa altro.
Dopo cena la luna piena ci regala un paesaggio incantevole, domani sarà una bellissima giornata.
La cuoca e il suo piccolo indossano i loro del, caldi abiti tradizionali mongoli, fatti a mano e davvero molto belli e si congedano dal gruppo.
Buona notte, domani finalmente si pedala!!!!!
07.08.09 KHARKHORIN km 52 in bici
Sveglia alle 6:30, abbiamo dormito male, la pioggia sui teli della tenda fa rumore e soprattutto non siamo abituati a giacere sulla nuda terra, dura la vita da nomadi ! (...)
Finalmente si muovono le bici, mi sembra strano essere di nuovo in viaggio sulle mie gambe, non uso la MTB dall’estate del 2006, i miei copertoni hanno ancora i segni delle strade himalayane.
I muscoli rispondono a meraviglia, gli allenamenti fatti a casa con la bici da corsa e il tanto correre a piedi sotto il sole infuocato mi hanno temprato a sopportare qualsiasi fatica !
Bellissimo il paesaggio, ovunque mandrie di cavalli, yak, pecore, capre e montoni disseminate su di un tappeto verde uniforme che a volte sembra il panno di un biliardo. Gli alberi sono assenti, il rilievo è dolce e si ripete all’infinito alternandosi a valli amplissime solcate da fiumi, si ha davvero l’impressione che questa terra non abbia confini. Ci credo che questo cielo abbia protetto i cavalieri più abili e coraggiosi che il mondo abbia mai conosciuto !!!
La bici è efficientissima, l’unico inconveniente è la borsa sul manubrio, l’attacco lascia proprio a desiderare, Angelo giustamente mi riprende, avrei dovuto consultarlo, il suo fissaggio è da manuale.
Pazienza, sistemo provvisoriamente la borsa sul portapacchi posteriore e riprendo a pedalare.
Dopo 12 km raggiungiamo Kharkhorin o Karakorum, l’antica capitale. Necessitando di un centro di potere più ampio e stabile per controllare il vasto impero, il figlio di Genghis Khan, Ogedei Khan, ne ordinò la costruzione. La città fu dotata di templi consacrati a tutte le principali religioni e attrasse operai specializzati provenienti da tutta l’Asia e persino dall’Europa. Quest’epoca d’oro durò solo 40 anni dopodiché Kublai Khan scelse come capitale l’attuale Pechino. Dopo il crollo dell’impero mongolo Karakorum fu abbandonata e poi distrutta dai soldati mancesi. Sulle ceneri dell’antica capitale sorse nel 1586 il primo monastero buddhista della Mongolia, l’Erdene Zuu che inglobò al suo interno i pochi resti di Kharkhorin. Decidiamo così di visitare questo antico monastero che un tempo comprendeva un centinaio di templi, ospitava 300 gher all’interno delle mura e accoglieva un migliaio di monaci. L’Erdene Zuu arrivò indenne fino al 1937, anno in cui, causa le purghe staliniane, furono risparmiati solo tre dei templi e un numero imprecisato di monaci scomparve. Rimangono le antiche mura e i 108 stupa che le dominano. (...)
Assistiamo a una breve recita dei monaci e poi torniamo al van perché comincia a piovere sempre più insistentemente. Copriamo le bici e ci rifugiamo nel furgone a mangiare qualcosa. Verso le 14 possiamo ricominciare a pedalare sperando nella clemenza del tempo. Il paesaggio è fantastico, seguiamo costantemente un fiume sulle cui sponde ci sono un’infinità di gher e di famiglie nomadi con i loro animali. Siamo nella valle dell’ Orkhon. Dopo quattro ore di pedale ci accampiamo e ceniamo con appetito, la cuoca ci ha preparato il piatto mongolo per eccellenza, verdure bollite e crude, carne di bue essiccata e spezzettata, pasta fatta a mano, più completo e nutriente di così non si può. (...) Buona notte sotto il crepitio della pioggia, preoccupante ma anche molto poetico.
08.08.09 VALLE DELL’ ORKHON km 0…..ahimè !!!
Piove, governo ladro !
E’ vero che di tanto in tanto una giornata di riposo serve…..speriamo però che non continui, altrimenti che palle !
(...) Così passiamo la mattinata in chiacchiere o nello scrivere le cartoline già comprate nella capitale.
Io ho un bel daffare con i miei 50 indirizzi e relativi francobolli, ho esagerato ?!? Va beh, non importa, anzi me ne occorrerebbero altre 13 che comprerò strada facendo.
Il pomeriggio lo passo seduto nel van dormicchiando accanto al piccolo Sumyaa, il piccolo mongolo che ci divertiamo a coccolare a turno. (...) Speriamo solo non si ripeta la pioggia, ma vedo che di ora in ora le nostre speranze vengono disattese da un maltempo incessante, non ci rimane che coricarci, leggere o compilare l’amato diario
Ora però sono le 22 e mi sto assopendo, spengo la mia luce frontale e mi abbandono alle braccia di Morfeo e al tintinnio della pioggia.
09.08.09 VALLE DELL’ ORKHON km 75 in bici
Non ci posso credere, c’è il sole, sembra un miracolo, il cielo è come nelle cartoline !!! Anche il morale s’innalza come la luce sull’orizzonte, non vediamo l’ora di pedalare.
Ma prima la colazione, c’è un ospite inatteso, un ragazzo a cavallo che si ferma per un tè e una fetta di pane con la marmellata. Ha 14 anni e cavalca da quando ne aveva 7, è orgoglioso del proprio cavallo, ha già la fierezza di un adulto. Approfitto di questa facile preda fotografica per cogliere i particolari della sella in legno e delle staffe, le stesse che hanno permesso ai cavalieri mongoli di cavalcare e nello stesso tempo scoccare le loro precisissime frecce.
Via, si parte ! Ieri temevamo una sosta forzata anche più lunga, ora ci attende un altopiano assolato macchiato dalle ombre delle nubi sfilacciate che danno risalto a ogni fotografia.
Poi mandrie di cavalli, yak, capre e pecore completano un paesaggio che l’occhio fa fatica ad abbracciare tutto, talmente è immenso, paragonabile solo alla vastità del mare, un mare d’erba.
Seguiamo il fiume Orkhon che disegna le sue anse su questo altopiano creando la vita tutt’attorno.
Le gher si contano a centinaia, i mandriani del nuovo millennio tengono a bada gli animali con motociclette di fabbricazione russa o cinese, il romanticismo di un tempo cede il passo alla tecnologia, il progresso lusinga e illude anche le genti di queste remote valli. (...) Ci fermiamo per un pranzo frugale presso una delle tante tombe circolari dell’ Età del Bronzo di cui non rimane che la base di sassi. Una mezz’oretta…..poi in bici di nuovo, non possiamo sprecare questa bella giornata !
Continuiamo a seguire il fiume per tutto il pomeriggio e alle 17 giungiamo alla tanto decantata cascata, secca per dieci mesi all’anno e solo ora ricca d’acqua. Ha un salto di 22 metri, i nostri accompagnatori ce la mostrano con orgoglio, a noi fa tenerezza….. pensando a quelle alpine.
Ci chiedono “Ne avete in Italia ?” e noi non infieriamo “ Sì, qualcuna l’abbiamo vista” e parliamo d’altro. (...)
Alle 18:45 c’è già la cena pronta, incredibile, nemmeno mia zia 85enne va a mangiare così presto, ma bando ai commenti, la cuoca chiama e noi corriamo. L’appetito c’è sempre ma non siamo in Italia, qui usa il monopiatto con tutto ciò che necessita all’organismo, macchè due o tre portate, non siamo mica al Grand Hotel ! I cappelletti e il lambrusco li sognerò, così sorriderò soddisfatto nel sonno.
Ora non rimane che compilare il diario e coricarci perché domani è di nuovo una giornata intensa e senz’altro ricca di belle cose come quella appena trascorsa e noi dobbiamo avere energie fresche.
Sono le 22:15,sento il fragore del fiume, che bello addormentarsi con i rumori suadenti della natura!
Dimenticavo... buonanotte !
10.08.09 VERSO TSETSERLEG km 42 in bici
Il cielo sembra di nuovo clemente, non c’è una nube e l’azzurro è veramente da tela impressionista.
In compenso spira un vento gelido che m’induce a pensare a quanto sia dura la vita del nostro pastore errante per le steppe dell’Asia Centrale!
Dopo colazione carichiamo le bici sul furgone, facciamo pochi metri e già una sorpresa ci attende.
Una famiglia ci accoglie nella propria gher con una cortesia davvero squisita.
La gher forgia il carattere dei mongoli, le sue dimensioni limitate costringono le famiglie a condividere tutto, è un buon modo per annullare inibizioni e intimità.
Una gher può essere eretta in circa un’ora e viene facilmente smontata e trasportata. La forma circolare e il tetto basso sono adatti a creare una difesa dal vento, la porta è sempre rivolta verso sud come protezione dai venti che soffiano soprattutto da nord.. Il feltro utilizzato per la gher in genere è prodotto dai pastori stessi, spesso alla fine dell’estate, con la lana delle loro greggi. Ci vengono offerte tante cose, sappiamo bene che non è gentile rifiutare, almeno un assaggio va fatto. La prima bevanda è terrificante, mi sfugge lo sguardo d’intesa tra Enrica e Angelo, così mi ritrovo a sorseggiare questa brodaglia primordiale lasciata praticamente inviolata dalle loro bocche !
Bella tattica, tocca a me ingoiare qualche sorso di quell’airag che, a ragione, tanto spaventa il turista.
Avrei quasi preferito una bella purga con olio di fegato di merluzzo come mi era capitato in Norvegia. La seconda bevanda mi rassicura, è vodka, mi torna il sorriso sulle labbra. Mi passano ora dei biscottini o meglio mattoncini a base di formaggio. Sono fatti con burro e farina, hanno il peso specifico di una stella di neutroni ! Ho scattato un reportage sull’interno e gli arredi della gher immortalando suppellettili, fotografie di famiglia, un altare con le offerte. Ora mi dedico a ritrarre papà, mamma, figlia e un bellissimo bimbo di pochi mesi raccolto dalla culla per mostrarcelo.
Ci accomiatiamo regalando un pacco di zucchero a queste meravigliose persone, sperando di incontrare altre belle famiglie nei giorni a venire…..siamo fiduciosi, visto la proverbiale ospitalità mongola. Ripartiamo facendo per 25 km la strada a ritroso, preferiamo non usare le biciclette.
La strada verso nord che abbiamo deciso di seguire ci costringe a questa breve inversione di rotta,
non siamo riusciti a convincere i nostri accompagnatori a percorrerne altre vie forse più logiche ma a loro sconosciute. Facciamo sosta in un villaggio per rifornire il van di benzina e la nostra cucina di provviste, la cuoca decide cosa occorre e noi paghiamo, questi sono gli accordi. C’è davvero solo l’essenziale in queste povere botteghe, il lusso non serve da queste parti.
Incrocio un ubriaco che parla un idioma incomprensibile e mi rincorre con una bottiglia di vodka, non posso bere, devo pedalare, prova a farglielo capire... o forse è lui che chiede un rincalzo... boh !?
Tutti di nuovo sul furgone, ne approfittiamo per guadagnare slealmente il dislivello di circa 300 metri e portarci a quota 2040 in un paesaggio alpino davvero bello, prati a perdita d’occhio macchiati qua e là da boschi di abeti e larici. C’è una fioritura incredibile, tantissime stelle alpine, anch’io ne raccolgo alcune per ricordo, non so resistere alla tentazione. (...)
Le strade non hanno indicazioni, ci sono tantissime piste che a volte corrono parallele, altre volte s’intersecano disegnando grafici infiniti sulla prateria. Qual è la direzione giusta ? Boh, vedrai che prima o poi il furgone ce la indicherà ! Se fossimo in autosufficienza sarebbe un bel problema, ci vorrebbe un satellitare, non abbiamo neanche mappe dettagliate del territorio, non se ne trovano, forse non occorrono agli indigeni, solo a qualche stupido occidentale ! Facciamo quattro salite impegnative tra i 1750 e i 2040 metri, nell’ultima il terreno sconnesso mi costringe a usare i rapporti più agili della mia KTM.
Riesco a scollinare, ho lasciato alle spalle Angelo ed Enrica che arrivano una quindicina di minuti più tardi spingendo le biciclette. L’allenamento che ho fatto a casa è stato scrupoloso, le gambe per ora rispondono a meraviglia, speriamo continuino ! Ora una bella discesa fino a un guado dove una mandria di cavalli si sta abbeverando. Attraverso la poca acqua mentre Angelo mi fotografa tra quegli animali così fieri e vigorosi. Poco dopo decidiamo con i nostri accompagnatori di trovare uno spiazzo per le tende, sono quasi le 18 e pedaliamo da quattr’ore su percorsi impegnativi.
Da lì a poco appoggiamo le bici e aiutiamo l’autista a montare la tenda cucina e i nostri igloo. (...). Dal nulla si materializza un gruppo di cavalieri dall’infinito mare verde, qui è così, senti tremare la terra e sei colto di sprovvista, ti sono gìà addosso, fortuna non sono armati come un tempo !
Si fermano per il piacere di recarci visita e fare due chiacchiere, sono padre e tre figli, due ragazzini e un bimbo di sei anni che già cavalca come un adulto.
Faccio tante foto approfittando della luce radente della sera e rivolgo loro domande approfittando della nostra interprete. Bello capire come vive questa gente, ci facciamo anche due risate perché quell’uomo 53enne si stupisce del fatto che io e Angelo non siamo sposati e non abbiamo procreato!
Ci ha pensato lui a ristabilire la media mondiale con i suoi cinque figli, le ragazze sono rimaste nella gher poco distante da lì. Quest’uomo saggio ci dice che è fondamentale avere una donna e dei bimbi, non ritiene ci siano cose più importanti nella vita. (...) Stiamo per coricarci quando Angelo ci avverte che stanotte è San Lorenzo, il dieci agosto, occorre resistere alla stanchezza per vedere qualche stella cadente….chissà ! Così ora ho quasi finito il diario, sono quasi le 23 e sto uscendo dalla tenda per scrutare il cielo d’agosto. Ci vuole una pazienza infinita a piazzare la macchina fotografica sul cavalletto e mirare alla luna che non è proprio piena piena, è ammaccata da una parte. Niente stelle cadenti, niente desideri, li tengo in serbo per le prossime notti.
Tutt’attorno la mia luce frontale illumina le pupille di tantissimi yak che continuano a pascolare indisturbati e interrompono il sonno di Enrica con il loro mugugno e il continuo ruminare.
Così impara Enrica a piazzare la tenda lontano dalla nostra per sottrarsi al nostro sporadico e presunto russare….sta pagando caro il suo errore, noi siamo creature delicate rispetto a quei mastodontici erbivori !!!
Più in là nella notte hanno cominciato ad abbaiare i cani, ma alla fine tutto è sfumato in un bel sonno ristoratore.
11.08.09 VERSO TSETSERLEG km 43 in bici
Sèhan àma snòò! Buongiorno!
C’è già un bel formaggio fresco ad attenderci, la promessa è stata mantenuta, mai dubitare dell’onestà mongola ! Colazione e poi partenza con le bici sul van, un guado insuperabile subito si presenta e non abbiamo voglia di lottare con la corrente magari fino alle anche….o più su !!!
Alle 09:50 s’inizia a pedalare, il percorso è molto nervoso, troppi su e giù ma, abbiamo voluto le bici e allora….. muti e tenaci! Enrica è inesorabile e determinata a non cedere ma ha tempi da maglia nera e Angelo deve non forzare il ginocchio che il prossimo mese farà operare.
Certo non è una gara, ma io ho conservato il mio solito ritmo e così mi trovo a scollinare per primo senza sforzo o quasi, ormai le gambe sono inarrestabili e spero rimangano tali.
A pranzo ci fermiamo in cima a una salita, vicino a un bosco d’abeti, non è il solito paesaggio, sembra di essere in alto Appennino. Facciamo tre giri in senso orario attorno all’ennesimo ovoo (ouò) per esprimere la nostra gratitudine nei confronti degli spiriti degli antenati che proteggono il territorio circostante e naturalmente anche per propiziarci la buona sorte. Questo rituale risale a un’epoca antecedente sia al buddhismo che allo sciamanismo ma francamente è spoetizzante vedere alcuni successori di Genghis Khan non scendere dai loro autoveicoli per compierlo e limitarsi a suonare tre volte il clacson. (...) Questi ovoo non sono altro che cumuli di pietre sui quali, per devozione, si possono gettare altri sassi, lasciare offerte in denaro o piccoli e grandi oggetti personali come ad esempio una stampella in ricordo di una grazia ricevuta. Su quasi tutti abbiamo visto teschi di animali e sciarpe blu, simbolo di quell’infinito cielo, il tengger (tèngr), d’innanzi al quale persino i grandi cavalieri di un tempo si prostravano riconoscendone la superiorità.
Dopo pranzo ci attende una lunga discesa che ci conduce a una zona termale, niente di che,
è proprio il minimo sindacale, diamo un’occhiata e fuggiamo rapidamente. Siamo troppo ben abituati, forse la paragoniamo a Colà di Lazise, così preferiamo affrontare un altro passo impegnativo piuttosto che perdere tempo alle sorgenti di Tsenkher.(...) Ne approfittiamo per rimpinguare le nostre scarse riserve idriche ricambiando la generosità di questa gente con dentifrici e spazzolini, roba preziosa da queste parti.
Il padrone del pozzo è un uomo di 48 anni, padre di uno stuolo di figli, che da vent’anni vive in questo paradiso e custodisce per conto del governo la preziosa fonte. Accanto ad una delle sue gher c’è una parabola così grande da far invidia al più attrezzato teledipendente e un pannello solare che alimenta un accumulatore al quale è collegata la tv.
Cosa credete, lo scatulùn è arrivato anche sulla prateria…nessuno può considerarsene immune !!! (...)
Intanto si sta facendo sera, sono le 19:30 e le ombre dei colli s’allungano su un’infinita pianura verde.E’ davvero rilassante vedere il sole calare su questo mare d’erba.
Mi piace pensare alle famiglie riunite per cena nelle loro gher, cerco di violarne l’intimità con il binocolo, ma sono troppo lontane e così custodiscono i loro segreti.
Ora prevale la stanchezza e ci andiamo a coricare nelle tende scrivendo alla luce delle minuscole pile il diario di un bel giorno speso in questo mondo lontano. Buonanotte !
12.08.09 TSETSERLEG E VERSO IL TSAGAAN NUUR km 51 in bici
Sveglia alle 07:15, colazione con tè mongolo, formaggio fresco, biscotti e miele.
Alle 09:10 già pedaliamo. Affronto la direttissima verso il colle che ci separa da Tsetserleg, definito il più bel capoluogo di aimag della Mongolia. Siamo nell’aimag di Arkhangai ovvero in una delle 21 province in cui è divisa la Mongolia, ben cinque ne dovremo attraversare. Arrivo in cima e comincio la discesa dopo avere visto i compagni salire sull’altro versante, convinto che anche loro sappiano dove mi trovo ma……. mi sbaglio, ad attendermi trovo solo il van !
Dopo una attesa di diversi minuti l’autista decide di rintracciare il resto del gruppo.
Nel frattempo rimango solo e mi si fanno incontro un furgone con turisti spagnoli e una jeep con un’italiana e il suo compagno danese che mi dicono di aver visto i miei amici preoccupati.
Li ringrazio apprezzando questa solidarietà tra turisti, mi fa sentire protetto. (...)
Ora vediamo la cittadina non molto distante, appoggiata su di un colle, la raggiungiamo in poco tempo. Dedichiamo la mattinata all’approvvigionamento del cibo che ci deve bastare per i prossimi giorni e alla visita del vero mercato mongolo, non è roba da turisti, qui è tutto vero ! (...) Sono stanco, scrivo poche righe di diario, alcune cartoline e alle 21:30 mi abbandono al sonno nella mia tendina a igloo. A domani !
13.08.09 TSETSERLEG E VERSO IL TSAGAAN NUUR km 51 in bici
La notte precedente ha piovuto il vento ha scosso le nostre tende, al mattino c’è ancora qualche scroscio.
Facciamo colazione e decidiamo di caricare le bici sul van per arrivare al tanto decantato Tsagaan Nuur, il poetico Lago Bianco. Il paesaggio non è bello come nei giorni precedenti perché è solcato da una lunga cicatrice, la Millennium Road, una strada asfaltata di 2700 km ancora in costruzione che permetterà spostamenti più rapidi da est a ovest ma rovinerà per sempre il sacro suolo mongolo.
Facciamo un centinaio di km verso nord, un pranzo veloce e di nuovo in sella visto che il tempo sembra rimettersi al bello e invitarci a pedalare. Dopo pochi km i luoghi riacquistano il fascino momentaneamente perso. Si apre davanti a noi un profondo canyon scavato da un limpido fiume sulle sponde del quale pascolano mandrie di yak. Mi dispiace non avere tempo di percorrerlo a piedi, sicuramente sarebbe un’escursione rilassante e indimenticabile, non si può fare tutto in questa vita ! Così, dopo le foto di rito, siamo di nuovo in sella, ci aspetta una salita quasi impercettibile ma inesorabile che ci porta a 2150 metri. Le gambe non sentono la fatica e mi conducono ove desidero senza reclamare, così precedo i miei compagni e li aspetto. (...) Raggiungiamo un villaggio dove il van può fare rifornimento di benzina poi lasciamo che le nostre guide ci precedano per preparare il campo e la tanto attesa cena. C’è un bel risotto con carne e verdure ad attenderci e io mi bevo pure una birra mongola per non pensare al vino, non lo si può pretendere, ma il pensiero ci conduce inevitabilmente a evocarlo !!! Le previsioni che la nostra guida riceve sul cellulare non sono confortanti, dovremmo attenderci mal tempo per due o tre giorni, speriamo davvero che siano sbagliate.
Ora a letto, non ho nemmeno voglia di scrivere, il freddo e la stanchezza prevalgono, provo a dormire, sono solo le 21:30.
Domani l’alba ci troverà accampati in un luogo meraviglioso a più di 2000 metri d’altezza, sulle rive di un lago magico.
Buonanotte !
14.08.09 TSAGAAN NUUR sosta !
Sono le 7:30 e già sto uscendo dalla tenda, sono il primo a sedermi a tavola per la colazione. (...) Con Angelo ed Enrica decidiamo di fare una camminata lungo la costa del lago approfittando del poco sole che ancora la scalda. Dopo un paio d’ore siamo di ritorno quando lo stomaco ci suggerisce di preparare una pasta all’italiana. (...)
Ora tutti a smontare le tende, sta cominciando a piovere (...). Sulla mia giacca si fermano alcuni fiocchi di neve, non ci posso credere, siamo oltre i duemila metri anche se solo a metà agosto.
Ci rifugiamo tutti sul van e ci muoviamo verso la gher ove abbiamo deciso di passare la notte al margine settentrionale del lago, una quindicina di km da qui.
La famiglia che l’affitta è molto ospitale, subito ci accoglie con tè mongolo, formaggio fresco ed essiccato e un dolce preparato espressamente con burro, farina, latte e zucchero amalgamati con sapienza sul fuoco posto al centro della tenda. Piacevole e molto nutriente questo dessert, faccio il bis, non si sa mai….
Ora ci conducono alla gher per gli ospiti, molto più elegante della precedente, ci sono quattro letti e ognuno di noi sceglie il suo, dopo tante notti di tenda è una prospettiva allettante…cosa ne dite ?
Il campo è formato da quattro gher, tutt’attorno ci sono cime spolverate dalla prima neve e prati infiniti.
Un ragazzino ci mostra come sia già abile ad arrangiarsi nonostante la giovane età. Spacca legna per alimentare la nostra stufa, rimesta l’airag e s’improvvisa meccanico su di una vecchia moto. Non c’è tempo per trastullarsi, ognuno deve dare il suo contributo, l’inverno è alle porte. (...) Brindiamo alla prima notte in gher e alla salute nostra e di tutte le belle persone incontrate fino ad ora su quest’altopiano remoto. Il vino è il minimo sindacale, ha un retrogusto dolce, qui non esistono vigneti e non si può pretendere di trovare un prodotto dignitoso, pazienza, mancano ancora tanti giorni al prosecco di Meuccio ! (...) L’ultimo regalo della giornata è un bellissimo arcobaleno che attraversa tutto il cielo e si getta nel lago, chissà se preannuncia il sole di domani !!!
Alle 20 siamo già tutti a letto, ci portano legna per la stufa, coperte supplementari e uno squisito yogurt con marmellata di mirtilli. Manca solo un goccio di vodka e rien ne va plus. (...) E’ buona abitudine dormire con la testa rivolta verso nord, non scordiamocene. A domani, sogni d’oro, il nostro sonno è cullato dal crepitio della legna che ancora arde nella stufa al centro della gher.
15.08.09 VERSO NORD km 57 in bici + km 105 in van
Sono le 7:30, prendo la macchina fotografica e vado in direzione del lago per immortalare l’effetto della bruma che grava sulla superficie dell’acqua riscaldata dal primo sole.
Un fiume che scorre lento sbarra il mio passo, così colmo la distanza con il teleobiettivo e colgo la magia del momento.(...)
E’ una bella giornata anche se i nomadi dicono che ci sono troppe nuvole in cielo e probabilmente verso sera pioverà….macchè stazioni meteo, basta saper capire i segni !
Pedaliamo, fa freddo, siamo a 2080 metri e dopo alcuni km costeggiando il lago verso nord decido d’infilarmi anch’io il passamontagna e i guanti di pile.
La strada si fa sempre più ripida e ci conduce a quota 2350, per ora la nostra Cima Coppi, mai prima eravamo saliti così in alto. (...) Ora inizia un bel discesone tecnico, a metà mi fermo per mettere il casco, troppo pericoloso procedere senza. Lascio sul van anche la macchina fotografica, ho paura di danneggiarla.
Riprendo a pedalare più rinfrancato e spavaldo. Ci fermiamo dopo pochi km per comprare mirtilli freschi da alcune bimbe ai bordi della pista, solo un euro al barattolo. Intanto un cane ci minaccia, dobbiamo fermarci altrimenti rischiamo di essere azzannati, questi bestioni non scherzano.
Ogni volta che risaliamo in sella c’insegue, nessuno lo richiama, troppo zelanti questi cani mongoli
e troppo appetitosi i nostri tonici polpacci ! Finalmente una bimba chiama la bestiaccia per nome mentre Angelo ha già un sasso tra le mani e lo stick al peperoncino pronto per l’uso.
Pedaliamo ancora per alcuni km, comincia a piovere e decidiamo di fermarci per aspettare il van, abbiamo già percorso quasi 60 km. Carichiamo le bici per evitare d’inzupparci.
Il paesaggio si fa sempre più alpino, aumentano gli alberi e le cime diventano più aguzze.
Attraversiamo un ponte in legno a dir poco sconnesso, è talmente disarticolato da rappresentare una scommessa, speriamo di uscirne indenni ! Avvistiamo uno stupa del 1600, il più antico costruito qua attorno, che ricorda un eroe locale noto per avere volato alcune centinaia di metri con le sue ali rivestite di pelli di pecora….che sia sopravvissuto al suo esperimento non ci è dato di sapere ! C’imbattiamo in alcuni cammelli, non quelli per turisti, li usano i nomadi per la loro forza e resistenza, possono stare sessanta giorni senza bere, incredibile.
Continua a piovere e non abbiamo proprio voglia di dormire in tenda, siamo sopra i duemila metri e fa un freddo becco, così andiamo in cerca delle guest houses di cui la nostra guida è a conoscenza.
Le troviamo parecchi km più in là , ormai sono le otto di sera e siamo in ritardo per la cena, non siamo mica in Italia ! Capitiamo nella casetta di un’artista che insegna disegno all’università di Ulaan Baatar e nei mesi estivi si ritira in questo piccolo paradiso con la moglie.
Lei pure è un’insegnante e lavora sulla dizione di cantanti e attori. Il tocco artistico lo si coglie nell’arredo e soprattutto nel soffitto a botte dipinto di un bel cielo azzurro che cullerà il nostro sonno. Fuori c’è una luce che mi ricorda un quadro di Magritte, l’incalzare della notte crea una situazione irreale, il buio della casa è rischiarato solo dalle fiammelle delle nostre candele, è bello
studiare i profili dei visi disegnati dalla semioscurità.
Oggi è ferragosto, abbiamo già cenato e ci apprestiamo a dormire, sono solo le dieci.
Mi piace pensare agli amici in Italia, là sono le 16 e la serata è ancora lunga, buon divertimento a tutti! Io chiudo gli occhi e sogno di loro e delle belle persone che ho conosciuto in vita mia.
16.08.09 ARRIVO A MORON km 67 in bici + km 18 in van
Alle otto siamo operativi, colazione e abluzione minima. Pronti per partire alle 9:30 dopo avere riassemblato e lubrificato per l’ennesima volta le bici che il giorno prima abbiamo lasciato sul van.
Il cielo è parzialmente nuvoloso e il sole cerca vanamente di scaldare questa giornata livida sull’altopiano a 2000 metri. Subito ci attende una discreta salita poi un’infinita pianura punteggiata di gher e di bestie al pascolo. Ci fermiamo presso una delle tante tende di nomadi per giocare a pallavolo con alcune ragazze. Il problema è come sempre il cane, ma stavolta è subito richiamato e invitato a starsene buono. E’ bello familiarizzare con la gente, ci mettiamo in cerchio a giocare, Italia e Mongolia, vale sempre la pena ritardare i nostri tempi per cogliere occasioni come questa ! (...)
Di nuovo in bici, ci attendono salite e discese non troppo difficili e a mezzogiorno, dopo aver percorso 33 km, comincia a piovere. Aspettiamo il van per caricare le bici.
Facciamo una ventina di km e verso l’una del pomeriggio riappare il sole. Pranziamo velocemente e risaliamo sulle biciclette con l’intenzione di raggiungere la città di Moron prima di sera, non sappiamo mai di preciso quanti km mancano, ci sono troppe opinioni differenti in merito.
(...) Arriviamo a Moron prima del previsto, verso le sedici abbiamo già fatto spesa al market e telefonato in Italia dall’ufficio postale, ora dobbiamo raggiungere la guest house che ci ospiterà.
Mi piace subito, molto ben organizzata, possiamo fare una bella doccia calda che dopo dieci giorni di igiene precaria sembra un miracolo ! All’entrata ci sono due grosse moto, una BMW e una KTM, in assetto da Parigi-Dakar. Dopo l’abluzione rigenerante andiamo a passeggio per le vie polverose di questa cittadina di 36000 abitanti a 1300 metri, capitale dell’aimag di Khovsgol. Moron è un anonimo centro amministrativo privo di alberi e attrattive, così andiamo a visitare il mercato locale dove c’è ogni genere di merce, niente di particolare per noi occidentali abituati al meglio del meglio. La cosa più interessante che mi capita di osservare è una distesa di biliardi all’aperto. Sono in corso molteplici partite, non credo ai miei occhi e cerco di documentare questa rara occasione.
Stasera abbiamo anche un ricco dopocena con concerto di musica mongola, due artisti locali ci allieteranno, speriamo, esibendosi nella gher qui accanto. I due concertisti si preparano nella stanza accanto alla nostra e mi passano accanto. Mi sento in dovere di salutarli e mi presento all’uomo sfoderando il mio perfetto idioma messo a punto in tante ore di lezione sul van. “Bi Itàl hùn” e lui…..”Bi Mòngol hùn !” ovvero “Io sono italiano” e lui “Io sono mongolo !”... devo dire che in effetti mi sono sentito più mongolo io in quest’occasione !
Ora sono appena tornato in camera dopo aver assistito alla performance, è stata superiore alle aspettative, i due artisti hanno suonato strumenti a corda e cantato, non avevo mai sentito pezzi eseguiti modulando la voce in modo così esasperato, deve richiedere uno sforzo notevole.
Il canto con la gola è un’arte antica grazie alla quale un solo cantante riesce a produrre due voci,
una più alta che intona la melodia e una base che funge da basso.
Sono le 22, è ora di chiudere il diario e augurare a tutti una buona notte.
.
17.08.09 VERSO IL GRANDE LAGO km 62 in bici + km 67 in van
Sèhan àma snòò ! Buongiorno ! Mancano pochi minuti alle sette e siamo già svegli,
la giornata è livida , speriamo che il tempo migliori e ci permetta di guadagnare un po’ di strada verso il grande nord.
Ieri sera alla guest-house è arrivata una coppia di ciclisti russi di Ircutsk, una città della Siberia a sud del lago Bajkal. Viaggiano in autosufficienza con tanti bagagli ma hanno confessato di aver percorso diversi km su camion e altri mezzi, li capisco, non è facile spostarsi così affardellati, so cosa significa, l’ho sperimentato in passato sulla mia pelle !
Colazione in camera, dunque, sul nostro tavolinetto pieghevole strategicamente posto di fianco al materasso che questa notte ci ha finalmente permesso di dormire un po’ comodi.
Ci accomiatiamo dai gestori della guest-house e dai ciclisti, è stato bello raccontarsi le reciproche avventure e augurarsi un’energica pedalata.
Il cielo è minaccioso, facciamo subito 26 km con una salita graduale ma inesorabile che c’innalza di 550 metri, dai 1300 di Moron ai 1850 di un passo che…..non arriva mai !
Le gambe sono d’acciaio, non faccio la gara con nessuno, lotto solo contro me stesso.
Giungo alla sommità e aspetto i compagni. Intanto fraternizzo con padre e figli mongoli con i quali compio camminando i classici tre giri rituali attorno all’ovoo gettando sassolini sulla pila di massi,
ossa e sciarpe blu. Dico loro “Bì Itàl hùn” in perfetto mongolo, lasciandoli increduli e sorridenti. (...)
Riparto con Angelo in discesa, la parola d’ordine è una sola “Cigherè oshò !!!” ovvero diritto verso il nord, non possiamo sbagliare, la pista punta decisamente verso il confine siberiano.
Dopo diversi km ci fermiamo in prossimità di un piccolo lago e veniamo raggiunti dal van.
Pranziamo con frittata di uova e salame affettato scaldato in padella, pasto alla cowboy.
Ora mi concedo una birra mongola, di tè non ne posso veramente più ! (...)
Arriviamo a un piccolo hotel con annessa una bottega di alimentari e lì ci raggiunge il resto del gruppo. La decisione è sofferta ma alla fine carichiamo le bici per giungere già questa sera alla nostra meta più settentrionale, il grande lago al confine con la Siberia, il mitico Khovsgol Nuur.(...)
Avevamo letto dell’impraticabilità del terreno a queste latitudini, spesso solo a cavallo si riesce a procedere, occorre aspettare il lungo inverno che gela e rende compatte le piste.
Stanotte dormirò solo nella mia tendina rossa a igloo, Enrica e Angelo si sono accomodati in una gher, troppo lussuosa e calda, per questa notte decido stoicamente di affrontare la notte siberiana. (...)
Ceno con Angelo ed Enrica nella gher poi mi ritiro nella mia piccola dimora, desidero sentire il morbido abbraccio del mio sacco a pelo di piumino, sono già le 22:30 e il buio avvolge ogni cosa.
Sèhan amrarè…..buona notte !
18.08.09 KHOVSGOL NUUR km 41 in bici
Stamane sveglia alle 7:30, c’è una bella e fredda mattina ad attenderci.
Sono attratto irresistibilmente dalla luce sul lago di fronte a me, il sole è già sorto e gioca con lo specchio dell’acqua, i cavalli stanno pascolando sul prato vicino alla mia piccola tenda.
Metto subito mano alla fotocamera cercando di cogliere la magia del momento.
Raggiungo Enrica e Angelo per la colazione nella loro gher al tepore della legna che ancora arde nella stufa.
Ora via, la giornata è splendida, partiamo in bici scortati dal van e diretti verso l’accampamento della famosa sciamana che vive poco distante da qui. E’ una donna di 50 anni che ha sei figli e tredici nipoti, abita un tepee stile indiano e pascola le renne, fa parte della tribù dei reindeer people, poche decine di persone che vivono all’estremo nord del lago in luoghi irraggiungibili se non a cavallo per l’impraticabilità dei sentieri resi troppo fangosi dalle piogge.
Solo d’inverno divengono accessibili grazie al gelo che compatta il terreno.
Geroglifici attestano la presenza di questa gente sin dal 2000 a.C. in prossimità del grande lago Khovsgol. Grande povertà e mancanza d’istruzione dovrebbero indurre questo popolo a educare i propri figli nella speranza di vivere un futuro migliore e non rischiare l’estinzione; questo punto di vista è più o meno condivisibile, è tutto scritto sulla nostra guida.
Entro nella tenda della sciamana, sono venuto per farle domande generiche, non per parlare del mio futuro porgendole domande specifiche. So che occorrerebbero molto tempo e problematiche precise, oltre a un’offerta di denaro più generosa !
Non c’è da stupirsi, questa è una zona turistica e inevitabilmente è destinata a divenire sempre più una fonte di reddito per gente che vive così poveramente. Ho letto che questo vendersi ai turisti e il pascolare le mandrie in zone considerate non adatte non è condiviso dagli altri appartenenti a questa etnia, poiché le renne hanno necessità di nutrirsi di licheni e sembra che questi pascoli le facciano ammalare.
Il dialogo con la sciamana dura una mezz’ora, posso fotografarla e me ne rallegro.
Le chiedo della sua vita, mi dice che a soli tredici anni ha cominciato ad avvertire un malessere che si è protratto per un paio d’anni, era turbata da strani sogni, il potere stava entrando in lei.
Non s’impara il mestiere di sciamano, il tengger ti sceglie, ovvero quell’eterno cielo azzurro che assume il significato di dio e regola da sempre la vita di questa gente. Gli sciamani curano le malattie, entrano in contatto con le anime dei morti e proteggono uomini e animali con cerimonie sacrificali. Per aiutare una persona lo sciamano entra in trance indossando particolari abiti e visita gli spiriti degli antenati trovando da essi la soluzione ai problemi dei vivi.
Enkhtuya mi dice che solo un altro sciamano che vive a nord sul confine con la Siberia ha gli stessi poteri divinatori e può adoperarsi perché il bene prevalga sul male non solo tra la propria gente.
Nel periodo della dominazione sovietica, ovvero fino al 1990, questi sciamani non potevano manifestare apertamente le proprie capacità se non a rischio della vita, sembra incredibile che questo antichissimo credo assieme a quello buddhista fosse perseguitato in maniera così violenta, eppure per settanta anni le cosiddette purghe staliniane hanno avuto il loro nefasto effetto.
Timidamente la nostra allora quindicenne sciamana aveva confessato alla madre i suoi turbamenti, ma fino all’età di trent’anni, ovvero sino alla proclamazione dell’indipendenza mongola, i suoi poteri erano conosciuti da poche persone. Mi piace la serenità di questa donna, non vedo tentennamenti sul suo viso ma solo un sorriso rassicurante. Ora accade una cosa inattesa, Enkhtuya porta alla bocca uno strumento musicale, la freccia dal cielo, e lo suona per me. Chiudo gli occhi e le vibrazioni mi entrano nel corpo, non riesco a fotografare, ho le lacrime agli occhi.
(...) Mio fratello, da buddhista qual’era, spesso mi diceva che chi ha sofferto ha diritto di sperimentare la felicità di esistere. Me ne vado ancora commosso, chissà cosa mi accadrà con gli anni, non mi è dato di saperlo, non vorrei conoscerlo.
Riprendiamo le bici dopo questa esperienza mistica e c’imbattiamo in un villaggio per turisti ove affittano canoe. Che bello, oggi potremo pagaiare un poco sulla vastità del Khovsgol Nuur !
(...) Sullo sfondo, all’estremo margine nord del lago, s’intravedono montagne innevate scintillanti, la luce del sole le rende irreali…….chissà se un giorno potremo vederle da vicino, questa vita non basta e forse è meglio così, non a caso il mondo è così grande,non rimarrebbe altrimenti lo stupore d’incontrare nuove genti e terre mai viste.
E’ difficile non avere profondo rispetto di ciò che ci circonda, capisco la riconoscenza delle popolazioni indigene per tutto ciò che è protetto dal padre di tutti noi, l’infinito tengger.
E’ sera, rientriamo al nostro piccolo accampamento, piove a intervalli, ogni tanto uno squarcio di sereno rende drammatica e affascinante la luce sul lago.
(...) Non ci rimane che preparare i nostri giacigli, ma, come recita il nostro dialetto “am pròm po’ mìa
ster indree da tòt – non possiamo poi rinunciare a tutto ! “ e così ci consoliamo brindando con la vodka anche se Enrica partecipa solo virtualmente….non sa cosa si perde ed è pure fortunata perché non è costretta a bere da qualche nerboruto e magari permaloso mongolo attento agli usi locali !
19.08.09 RITORNO A MORON km 67 in bici + km 132 in van
Ore 6:40, Angelo ed io siamo già svegli. Ho appena sbirciato dal mio caldo sacco a pelo l’anziana proprietaria entrare nella nostra gher con la legna necessaria per alimentare la stufa.
Si vede il fiato nella semioscurità, fuori il sole è appena sorto e la brina disegna i contorni delle cose con la sua magica trama. Mi vesto e vado a fotografare lo specchio della luce sul lago, fa molto freddo ma sono irresistibilmente attratto dal mondo là fuori.
Dopo colazione carichiamo bici e bagagli sul van e alle 9:30 iniziamo il viaggio di ritorno a Moron
abbandonando la latitudine più settentrionale raggiunta nel nostro tour.
Ci riforniamo di viveri e carburante e poco dopo il capoluogo ci fermiamo per un veloce pranzo e per riprendere a pedalare. Una lunga salita ci attende, una ventina di km in un paesaggio che ormai ci è consueto. Incontriamo due ragazzi svizzeri di Berna con le bici stracariche, dai 50 ai 60 kg ognuna. Stanno viaggiando in autosufficienza, sono partiti in maggio raggiungendo dapprima la Danimarca e da lì Ulaan Baatar in treno lungo la transiberiana. Dopo questo tour mongolo in bici partiranno in aereo per Hong Kong con l’intento di attraversare pedalando i paesi del sud-est asiatico, Vietnam, Laos, Thailandia. Il prossimo anno ritorneranno a casa ( così dicono !?!) con tantissime cose da raccontare e…..un discreto allenamento ! Annotiamo gli indirizzi elettronici
per poterci scambiare in futuro foto e impressioni di viaggio e ci auguriamo buona fortuna a vicenda, ne abbiamo bisogno anche se la sciamana ci ha predetto un avvenire sereno !
Riprendiamo la salita che ci porta a un passo di circa 1800 metri dal quale ci attende una discesa amica, costante e rigenerante. Enrica è scomparsa, ognuno di noi tiene il proprio passo, non dovremmo sbagliare, la direzione è grosso modo l’est, controllo la bussola.
Si fa tardi, sono già le sei di sera, nessuno si vede all’orizzonte, né il van, né Enrica, solo colline.
Continuiamo la discesa incalzati da un cielo nero foriero di pioggia e avvolti da nubi di polvere che vanno nella nostra stessa direzione spinte da un terribile vento. L’aiuto di Eolo fa guadagnare rapidamente strada alle nostre ruote. Non si vede una gher, siamo un poco innervositi e accelleriamo il passo, poi, come d’incanto, appare un villaggio dove decidiamo di fermarci in attesa dei compagni di viaggio. Da lì a poco, per fortuna, avviene il rendez-vous.
Decidiamo di accamparci appena fuori dall’abitato in prossimità di un piccolo corso d’acqua. Bel posto, m’ispira ! Subito apriamo le tende ancora bagnate per la pioggia dei giorni precedenti e poi pensiamo all’igiene personale. L’acqua del fiume è sopportabilmente fredda e così decido di affrontarla con i soli slip e a piedi nudi tentando di togliermi di dosso la tanta polvere raccolta sulle piste. Prendo il coraggio e il sapone a due mani e faccio un bello shampoo sperando poi di sfruttare il poco sole che ancora rimane per scaldare se non i capelli almeno il morale!
(...) Tutti a letto ora, rimane da scrivere il diario al caldo del sacco a pelo di piumino.
20.08.09 VERSO EST km 106 in bici
Sveglia alle 06:50. Là fuori si sentono solo lo scorrere dell’acqua e il nitrire dei cavalli al pascolo.
Scrivo le ultime cartoline e aggiorno il diario, è la prima volta in tanti anni che annoto le impressioni di viaggio, è bello confidare a un libro le proprie emozioni, mi dispiace non averlo fatto in passato.
Oggi non c’è una nube in cielo, direi che è la giornata più limpida che il tengger ci ha regalato.
Alle nove siamo già operativi, tutto fatto, partiamo in bici, una volta tanto lasciamo che siano i nostri accompagnatori a smontare il campo. Braghe corte e maglietta per me, gli altri preferiscono mettere qualche capo in più.
Pedaliamo in un paesaggio ormai consueto, i nostri occhi sono avvezzi a dolci colli e praterie infinite. C’è discesa, Enrica è contenta, finalmente si riposa !
Sostiamo verso mezzogiorno in prossimità di un villaggio per il meritato pranzo. Due uova sode e un salame affettato riscaldato in padella dovrebbero bastare per darci un po’ di brio e calorie per arrivare a sera. Angelo ed Enrica ripartono, io mi trattengo per visitare un tempietto buddhista di un paio di secoli fa che dista qualche centinaio di metri da qui. Riesco a entrare nel cortile e a fotografare gli esterni, ci sono un bello stupa, una grande ruota del dharma con gazzelle, cilindri di preghiera e tutta la rituale simbologia. Gli interni non sono accessibili, ma paiono spogli sbirciando dalle finestre ad altezza d’uomo.
E’ ora di raggiungere gli altri, oggi la strada non è impegnativa, occorre però guadagnare chilometri perché mancano ormai pochi giorni alla conclusione del nostro tour. In sella dunque, pedalare !
Ci sono salite non dure ma costanti seguite da belle discese. Uno stormo di centinaia di gru ci suggerisce una sosta per fotografare questi splendidi uccelli inconsueti ai nostri occhi.
Arriviamo su di un altopiano posto a 1200 metri interamente coltivato a frumento, la stanzialità della gente di questa zona e la quota non eccessiva permettono queste colture.
Ai tempi dei Khan non c’erano terreni e genti dediti a tutto ciò, quando necessitano prodotti della terra bastava razziare le ricche lande cinesi e realizzare ogni desiderio.
Vediamo e fotografiamo una famigliola di porcelli mongoli. Mamma, papà e piccoli grufolano
vicino alle nostre bici, non ce ne curiamo, non credo siano interessati ad acciaio e alluminio !
Una salita di 20 km lieve ma interminabile ci porta a 1350 metri e ci permette di concludere la tappa più lunga sinora compiuta, ben 106 km, non male !!
Ci accampiamo vicino a un torrentello, è proprio il minimo sindacale, ma ci permette di lavare un po’ di abiti e di fare qualche abluzione.
E’ una serata serena, il sole tramonta e regala al cielo sfumature da tavolozza impressionista.
E’ bello stare assieme nella tenda cucina e raccontarci la giornata appena trascorsa
assaporando il cibo che la nostra instancabile cuoca ci prepara con tanta cura.
Ora un tè caldo, un brindisi con vodka e poi tutti a nanna, domani si riparte.
21.08.09 FIUME ARGHANAGOL NATIONAL PARK km 78 in bici
Sveglia alle 07:30, c’è una giornata di sole incredibile ! Un paio d’ore e siamo pronti per il pedale.
Enrica non ha dormito e non si sente in forma, parte comunque, non vuole salire in van.
Mattinata tranquilla, facciamo una quarantina di chilometri e ci fermiamo per il pranzo.
Mortadella mongola e patate bollite, magari non è il massimo per un ciclista ma non è poi così scandaloso, tanto il colesterolo non s’innalza di certo con tutto il movimento che facciamo !
Enrica non è proprio in giornata, ieri ha dato troppo, sale sul furgone. Angelo ed io continuiamo.
Raggiungiamo un villaggio per approvvigionarci di cibo e carburante poi proseguiamo verso il parco nazionale indicato sulla carta stradale….non dovrebbe mancare molto.
C’è subito una discreta salita, poi una discesa altrettanto lunga. Fa caldo, molto caldo, è incredibile
l’escursione termica tra il lago che abbiamo abbandonato più a nord e queste lande, occorre un fisico sano per resistere e una buona dose di fortuna.
Attraversiamo un ponte su di un grande fiume e subito dopo ci attende qualche chilometro di deserto, la pista è molto sabbiosa, la bici sbanda vistosamente, si procede a rilento.
Per fortuna dopo non molto ci imbattiamo nei consueti sterrati dal fondo compatto.(...)
Stiamo seguendo il van che si addentra nella prateria e abbandonando la pista quando c’imbattiamo in una pedalatrice solitaria, una canadese dell’Ontario che ha vissuto per nove anni in Alaska, fino al gennaio del 2009, poi ha venduto la casa che si era costruita vicino a Fairbanks per girare l’Asia in bici. Le diciamo che ha un grande spirito per viaggiare da sola e così a lungo in autosufficienza, nessun nostro amico o amica lo farebbe mai, voi ne conoscete qualcuno ?
La invitiamo a campeggiare con noi e a condividere la cena italo-mongola che abbiamo intenzione di preparare. Loretta, questo è il nome della canadese, riflette su cosa fare e sui chilometri che le mancano da percorrere, poi decide di rimanere e di passare una serata in compagnia.
Montiamo il campo, ci laviamo al fiume e poi parliamo del tempo trascorso in Alaska da questa incredibile viaggiatrice solitaria. Le confido che uno dei miei sogni è fare la Dempster Highway uno dei prossimi anni, quei luoghi mi hanno davvero impressionato nel lontano 1998 quando ho percorso un migliaio di chilometri in bici “into the wild” tra grizzlies e orsi bruni.
(...) Il riso mongolo è buono, siamo contenti, è bello stare tutti assieme a mangiare e a raccontarci la vita, manca solo un goccio di vino buono, dobbiamo aspettare un’altra settimana per riassaporarlo. Ora tutti a letto, ci attende un’altra giornata intensa. Sehàn Amrarè, buonanotte.
22.08.09 ERDENET km 67 in bici
Sveglia alle 06:15, problemi intestinali, che sia stata la pasta alle erbe della prateria ?
Devo uscire dalla tenda con decisione destando lo stupore di Angelo che evidentemente ha uno stomaco zincato e allenato da tanti viaggi a non temere più nulla !
Saranno stati i due mestoli d’acqua di fiume usati per tirare la pasta o la contaminazione con il terreno mongolo ?!? Devo ricorrere per la prima volta ai farmaci, poco male, speriamo che tutto si risolva in poche ore e che mi rimanga energia sufficiente per pedalare.
Solo biscotti e tè a colazione, qualcosa bisogna pur mangiare. Attendiamo che si prepari la nostra ospite canadese, ci rifocilliamo assieme e parliamo di viaggi. Ovviamente dirotto la conversazione sull’Alaska, desidero davvero tornarci, è il luogo che più di ogni altro mi ha emozionato.
Loretta ha vissuto inverni ed estati lassù, passando da una a ventitre ore di luce, sperimentando fino a -75°C, i suoi occhi sono avvezzi al bianco delle distese di ghiaccio e al verde smeraldo dei boschi di larici. Trascorreva i suoi weekends con cani e slitta portando con sé un tepee e una stufetta a legna per scaldarsi la notte…..roba da donne vere !!!
Io mi accontenterei di seguire la Dempster Highway verso nord costeggiando il fiume McKenzie fino al delta nell’estremo nord.
Ci scambiamo gli indirizzi elettronici dicendoci “Keep in touch !” , teniamoci in contatto, questo mondo è troppo grande, c’è il rischio di perderci o magari un giorno riconosceremo due ruote amiche, chissà.
Alle 09:30 partiamo, facciamo una cinquantina di chilometri verso est fino a un parco nazionale riconoscibile dalla sagoma di un vulcano spento.
E’ ora di pranzo, solo tè e biscotti per me, ancora non sono in forma.
Nel pomeriggio continuiamo a pedalare in leggera e costante salita, Enrica ci segue sul van, non si è ancora ripresa da ieri, non l’invidiamo, stare sul furgone non è facile con tutti i sobbalzi di queste piste, se ne esce centrifugati, provare per credere! Incontriamo on the road una coppia di ciclisti serbi di Belgrado, probabilmente padre e figlio, con bici appesantite da 40 kg di bagaglio, deve essere una bella fatica, l’abbiamo fatta tante volte anche noi e proprio non riusciamo a invidiarli, meglio sentire le nostre ruote scorrere velocemente su questi sterrati infiniti.
Pedaliamo ancora in salita, ormai abbiamo superato oltre seicento metri di dislivello, il passo che ci separa dalla città di Bulgan è sotto i nostri occhi, ancora poche pedalate.
Compio gran parte del dislivello non sulla strada ma sui colli erbosi che la fiancheggiano, così evito di respirare il gas di scarico dei camion e delle auto che in questa zona sono abbastanza numerosi.
Il tempo è impietoso, comincia a piovere con convinzione, il van sta arrivando, carichiamo le bici.
Eravamo a poche centinaia di metri dal passo, mi dispiace rinunciare, non sono un collezionista di trofei e di colli alpini ma un po’ d’orgoglio c’è sempre nell’animo di un ciclista !
Scolliniamo, superiamo Bulgan e troviamo dopo due settimane l’asfalto, non ci sembra vero, basta buche e sobbalzi, un interminabile nastro nero fino all’orizzonte si presenta ai nostri occhi.
La strada così comoda oltre a essere spoetizzante ha anche un effetto soporifero, dopo qualche chilometro mi si chiudono gli occhi, è troppa la stanchezza dopo tanti giorni impegnativi.
Facciamo 60 km oltre la cittadina di Bulgan e arriviamo a Erdenet, seconda città della Mongolia dopo Ulaan Baatar. Le case sono basse e sparse sui colli tutt’attorno, la cosa deprimente è la vista dei condomini sovietici anni settanta, tanto funzionali quanto inguardabili e tristi.
Sembrano prigioni di stato, è incredibile quanto l’uomo sia capace di rendersi schiavo con le proprie mani, se ci fosse ancora l’Orda d’Oro mongola non attenderebbe ad appiccare il fuoco a questi mostri.
(...) Un bel tè caldo e buonanotte, speriamo di riuscire a dormire su di un letto, non ci siamo più abituati.
23.08.09 MONASTERO AMARBAYASGALANT km 18 in van + km 109 in bici
La giornata si preannuncia bella nonostante le previsioni nefaste.
Andiamo al mercato per rifornirci di carne e frutta, poi tentiamo una visita alla miniera di rame che ha dato lavoro a tanta gente in questa zona. E’ domenica, non è possibile entrare, occorrerebbe un permesso speciale. Decidiamo così di uscire dalla città in furgone e di pedalare poi sull’asfalto fino
alla deviazione che ci porterà a un famosissimo tempio buddhista.
Subito la strada ci è amica con parti pianeggianti o addi