NOMADIZZIAMOCI! UNA PROPOSTA ECOCOMPATIBILE
Girare tanto per il mondo, come è successo a me, ha i suoi vantaggi ma se uno ha un minimo di sensibilità non riesce a uscire indenne dall’angoscia che ti procura vedere un mondo che va velocemente all’esaurimento delle proprie risorse energetiche. Modelli di vita diversi da quelli “moderni”, che hanno resistito indenni a secoli di cambiamenti ora diventano obsoleti, tutti corrono ad inurbarsi, tutti vogliono partecipare alla grande giostra dello sviluppo che ormai sviluppo vero, originale veramente utile non è più.
Come sempre chi ha goduto prima di certi privilegi ha per primo la consapevolezza di quegli stessi privilegi e del fatto che lo sviluppo dovrà essere ecocompatibile o non sarà.
A questo proposito l’ultimo viaggio che ho fatto in Mongolia mi ha fatto toccare con mano un modo di vivere perduto: il nomadismo.
Il fatto di non permanere in un luogo, di non coltivarlo di non possederlo ti rende libero.
Il fatto di portarti dietro la tua casa e le tue cose seguendo gli animali che si spostano sul territorio ti fa essere pienamente umano. Questo succede nella tundra mongola ma anche nei deserti per i Tuareg, nelle steppe per i Sami, nelle praterie per gli Indiani d’America, negli alpeggi per i nostri pastori.
Questa gente, i nomadi, hanno tutti lo stesso modo di fare, le stesse usanze, le stesse credenze, le stesse canzoni per calmare gli animali… le stesse case trasportabili, le tende.
La yurta o ger per i mongoli è, tra le case trasportabili, la più perfetta che io abbia mai vista.
Ha una struttura in legno con le pareti che si chiudono a pantografo tenute assieme da lacci e mai da chiodi. Ha una grande ‘finestra’ centrale al colmo del tetto tonda, divisa da otto raggi come la sacra ruota tibetana che fa diventare la tenda un orologio solare durante il giorno e un luogo di osservazione delle stelle alla notte.
E’ coperta e coibentata dai feltri fatti da lana ispessita.
E’ resa impermeabile da uno stato strato di tela gommata.
È ricoperta dentro e fuori da uno strato di cotone.
Ha i legacci di lana di cammello.
E tonda, ha la porta esposta a sud ed è un ventre protettivo.
E’ LA PRIMA CASA DELL’UOMO.
Io, da tempo, cercavo il modo per poter esemplificare e divulgare i temi del vivere ecosostenibile, volevo filmare un processo di adattamento al nostro mutato ambiente a rischio di esaurimento delle risorse fino ad ora in uso.
Avevo pensato a costruirmi una casa ecologica, in legno, ma non mi soddisfaceva l’idea. Non esprimeva la mia ribellione al permanere in un luogo, a farlo proprio, a violentarlo, piegandolo alle esigenze di una gettata in cemento, di fognature ecc.
E poi, costruita una casa così come si fa per mostrarla?
Tutta la gente interessata a vederla deve spostarsi, e se fossi io, con la mia ‘casa’ a spostarmi?!
Se ogni posto fosse casa mia e nello stesso tempo non lo fosse?
Cosa c’è di meglio di una yurta per esprimere la nostra permanenza precaria sul territorio che una volta usato, goduto, apprezzato poi viene lasciato com’era?
Basta cemento, non abbiamo certo più bisogno di continuare a costruire. Abbiamo rovinato il nostro paesaggio italiano con le brutture di architetti e geometri o peggio, con gli scempi delle seconde case.
Possiamo vivere la natura, protetti ed adattati, ma poi togliere le tende e andare altrove.
Questo vale per i parchi naturali.
Vale per gli agriturismi.
Vale per i campeggi.
Per gli alberghi.
Per le seconde case.
Per i ristoranti.
Per i padiglioni espositivi.
Nomadizziamoci!
Maurizia Giusti