ULAANBAATAR WEATHER

LUCILLA RAFFAELLI

Il viaggio in Mongolia è stato sicuramente un'esperienza unica sotto diversi profili. Io e la mia compagna di viaggio Elisa siamo state accolte all'aeroporto da una sorridente ragazza mongola che ci ha sistemate in un albergo e poi ci ha fatto visitare alcuni siti della capitale (Gandan, il museo di storia naturale, Choijin monastery e il Zaisan memorial). Il giorno dopo, nonostante Elisa fosse in preda alla "vendetta di montezuma" (dissenteria del viaggiatore), siamo partite alla volta del deserto del Gobi (Yol canyon, Khongor sand dune) che abbiamo raggiunto dopo un paio di giorni. Siamo poi state a Bayanzag (red flaming cliffs), all'Ongiin khiid, Kharakhorum (Erdene zuu), Orkhon waterfall, Tsenkher hot spa, Terkhiin tsagaan lake, Tsetserleg, Zaya gegeenii sum, il vulcano Khorgo, Ogii lake, Khustai nuruu park per tornare, infine, a Ulaanbaatar. Questo è il giro che abbiamo fatto. Inutile che mi dilunghi sulla descrizione delle bellezze naturali e dei paesaggi maestosi che i nostri occhi hanno scorso lungo le centinaia di chilometri battuti in quindici giorni: le fotografie parlano da sole e comunque credo che altri luoghi non siano da meno. Quello che veramente mi ha impressionata è stato percepire lo spazio, il silenzio ed il buio assoluti. Confesso che quando mi sono trovata a passeggiare sulla duna di sabbia ho avuto paura. Ho pensato che se mi fosse successo qualcosa sarei morta stecchita lì, magari tra atroci sofferenze, senza che nessuno potesse darmi adeguato soccorso. Poi, dopo l'ennesimo pasto a base di pasta in brodo e montone (ottimo!!), mi è passata la paturnia.

E poi la gente... In viaggio eravamo io, Elisa, Zolo e l'autista Dugree. Per qualche giorno sul nostro furgoncino è stato ospitato anche un ragazzo francese (Pascal) completamente fulminato che, dopo aver dato le dimissioni dal lavoro a Tolosa, con la liquidazione aveva iniziato a girare l'Oriente (Laos, Cambogia, Cina, Mongolia e poi, chissà...) solo con uno zaino e una macchina fotografica.

Zolo è una ragazza di vent'anni molto bella, sveglia, brillante, intelligente. Studia biotecnologie, parla un ottimo inglese, cucina benissimo e monta le tende senza battere ciglio. Insomma una tipa davvero in gamba. Abbiamo parlato molto delle nostre abitudini così diverse e abbiamo colto anche molte similitudini nei nostri struggimenti amorosi e accidenti familiari (insomma sotto ogni cielo i cuori battono allo stesso modo). Nonostante il suo essere "cosmopolita" (naviga in internet, aveva vissuto sei mesi in Thailandia, conosce ogni anno decine di turisti, era molto interessata al mondo della moda) manteneva però intatta la sua identità nomade (fino all'età di sei anni ha vissuto in una gher): diceva che il suo sogno era quello di comprarsi una gher e andarci a vivere con i suoi amici, divorava interiora di montone come se fossero giuggiole, aveva un portamento da regina e modi da bestiolina (ometto i dettagli più scabrosi). Insomma una vera meraviglia. Ci siamo scritte un po', ma poi non ha più risposto alle mie mail.. chissà che fine ha fatto. Dugree è un omone che parla solo in stretto mongolo. Unico con cui comunicava senza l'intermediazione di Zolo era Pascal (che annuiva e rispondeva in francese). Non abbiamo mai capito cosa si dicessero, però erano in perfetta sintonia, specie quando lanciati a 60 km/h su una pista nel deserto abbiamo perso una ruota. Dopo che io e Elisa abbiamo pascolato i bulloni sparsi in giro (ne abbiamo recuperati solo 4 su 8, ma... non c'è problema!) Pascal (ex meccanico di moto) e Dugree, bofonchiando qualcosa di tanto in tanto, si sono messi a riparare il tutto e siamo ripartiti. Alla fine della vacanza Dugree ha espresso il desiderio di avere una pecora da portare ai figli ed è stato accontentato (non prima che ce ne facesse assaggiare un po' bollita, buonissima!). Durante il giro abbiamo dormito in tenda, gher e un paio di notti (freddissime e umidissime), nel furgoncino.

Le gher erano di campeggi e in alcune occasioni delle famiglie nomadi. E qui si apre il capitolo più toccante... Mi ha colpita la semplicità delle persone e la loro generosità. Hanno poco, ma quel poco te lo offrono. Non può quindi dirsi che siano povere (anche se nella capitale le cose sono ben diverse purtroppo..). Non chiedono praticamente nulla alla natura così ostile in quelle zone e ne rispettano religiosamente l'equilibrio. Vivono isolati e questo dimostra una grande serenità di spirito. Alcuni si sono accasati stabilmente nelle città, ma i più continuano a girovagare per deserti, lande brulle e montagne pacifici, eppure discendono da Gengis Khan!!!! Cosa si può dire di fronte a tutto questo?

Come spiegare la commozione provata quando due anziani nomadi che ci avevano ospitate ci hanno mostrato come un tesoro le fotografie della loro famiglia, del loro matrimonio, dei nipoti? E poi ci hanno salutato annusandoci le guance, dopo averci offerto il loro stesso pasto. Mi sembra di essere entrata in un'altra dimensione, più umana. Anche se questo significa fare una doccia alla settimana e fare pic nic in mezzo allo sterco di animali di ogni genere: cammelli, cavalli (compresi alcuni di una razza rarissima e protetta), yak (stupendi), capre, marmotte, cani, scoiattoli. abbiamo visto persino i gabbiani (ma che ci fanno lì??), dei rapaci e delle specie di gru, oltre a piccole farfalle. Dimenticavo la cavalcata a perdifiato. Erano anni che non andavo a cavallo a causa di un incidente che mi ha sbriciolato il ginocchio, ma lì non ho resistito e ho sfidato il dolore. Fantastico!!! Io non ho il fisico purtroppo, ma lì puoi galoppare senza freni senza fermarti MAI!!! Mamma mia che bellezza..Quando son tornata ho avuto un trauma. Qui siamo appiccicati come sardine, chiusi in loculi di cemento e corriamo come pazzi di qua e di là. Ma in fondo cosa concludiamo in più di un nomade? Mi sembra di aver perso un po' il senso delle cose. Ma questa è un'altra storia, la mia personale, che un viaggio così ha potuto solo confermare. Nonostante i numerosi giri propiziatori intorno agli ovoo.

Lucilla Raffaelli