Questo viaggio l’avevo sognato da anni, quasi senza crederci davvero, tanto impossibile e difficile da realizzare mi era sempre apparso. Lo avevo immaginato in silenzio, senza sapere che quel giorno sarebbe davvero arrivato… il sogno custodito nel cassetto che si trasforma in realtà in un giorno d’agosto del 2013. Andare in Mongolia, per me, era come andare su Marte. L’emblema stesso della differenza totale rispetto al mio mondo (o almeno, da quello da me conosciuto). La Mongolia era nella mia immaginazione la rappresentazione stessa della libertà: spazi a perdita d’occhio senza confini, né costruzioni umane, né proprietà privata. Cavalli al galoppo nella steppa, aquile in volo, mucche, capre, pecore, yak al pascolo… e l’anima libera. Liberata. Mi dicevo spesso: “La vita non aspetta. I sogni non possono restare tali per sempre. Fa ciò che è nelle tue capacità per non lasciare spazio ai rimpianti”. L’unica scelta possibile in quel frangente esatto della mia vita era concretizzare questo sogno. Per tutte queste validissime ragioni, Andrea ed io abbiamo sentito l’urgenza di cogliere una chance importantissima: andare a scoprire la parte più vera e delicata della Mongolia, prima della sua scomparsa definitiva.
Il viaggio in Mongolia rappresentava la scoperta di un mondo difficile anche solo da individuare sull’atlante. Lì si è sviluppato il più grande ed esteso impero di tutti i tempi, ma le sue tracce sono andate perse, cancellate da strati di polvere della steppa. Il mistero ha avvolto nuovamente quella terra inaccessibile ed estrema e ha obliato la sua storia.
Organizzare il viaggio in Mongolia però non è né facile e né economico.
Non è facile perché la Mongolia, per fortuna, è ancora immune dal turismo di massa, rimane una meta tendenzialmente per amatori pazzi, senza troppe esigenze di comfort, se non quella del viaggio stesso e della scoperta. Chi va in Mongolia deve essere disposto a viaggiare in totale semplicità e a sacrificare il proprio concetto, tutto occidentale, di igiene e a sospenderlo quasi completamente per tutta la durata del viaggio. Ma non temete, le temperature anche ad agosto sono miti, non si suda e se si è attrezzati con salviette si può tranquillamente profumare. Poi ci sono fiumi e laghi a sufficienza per potersi dare facilmente una rinfrescata! Questo è valido anche per quei viaggiatori che si affidano ad agenzie super lusso all-inclusive, dove qualche piccolo comfort può esser garantito, ma sempre secondo un concetto peculiarissimo di “comodità”. La Mongolia infatti è terra di nomadi, di gente dal cuore buono e aperto ma anche spartana e pratica. A meno che non abbiate a disposizione almeno due mesi, è molto difficile improvvisare il viaggio arrivando direttamente ad UB (come viene comunemente chiamata Ulaan Bataar dai suoi abitanti). Organizzarsi all’ultimo momento può provocare, come minimo, una grande perdita di tempo: i mezzi pubblici in Mongolia scarseggiano, ci sono pochissime strade asfaltate, i cartelli stradali non ci sono, prendere in affitto un’auto con un autista è l’unico modo per muoversi nella steppa. Infine, ad UB non ci sono molte agenzie di viaggio con le quali preparare un last-minute sul posto e per evitare sorprese spiacevoli (il principale è avere un autista alcolizzato o che non sappia risolvere i problemi che la macchina può subire nel viaggio sullo sterrato) è meglio affidarsi all’esperienza di altri viaggiatori.
La nostra grande fortuna è stata che il nostro autista, Dashka, nonostante sapesse dire in inglese solo “food water big small good no good” e in italiano “buongiorno, andiamo mangiare dormire”, si è dimostrata una persona estremamente brillante e insieme abbiamo inventato un linguaggio internazionale per comunicare fra noi. Muniti di doti gestuali tipiche di qualunque italiano e di un taccuino, abbiamo passato tramonti e serate a “chiacchierare” con Dashka, disegnando e insegnandoci a vicenda nuove parole di Italiano, Inglese e Mongolo e raccontandoci curiosità reciproche. Ci siamo mossi a bordo di una vecchia UAZ russa, facendo il solletico all’enorme terra mongola come puntini minuscoli sulle sue distese infinite. Abbiamo respirato in maniera nuova, attoniti ed emozionati sotto i suoi cieli enormi bassissimi lucenti e spettacolari nelle giornate limpide così come sotto i temporali più violenti. Come bambini a bocca aperta, siamo restati incantati di fronte al susseguirsi incredibile di vallate immense e di arcobaleni perfetti e perfettamente interi. Dashka è stato un vero compagno di viaggio e ci ha accompagnato scegliendo insieme a noi tempi e pause, venendo incontro ai nostri desideri e ci ha condotto fino al fulcro del nostro viaggio: gli Tsaatan. Per raggiungerli abbiamo attraversato la steppa, la taiga e infine la tundra dei Monti Sayan, ai confini con la Siberia, tra le regioni più remote ed inaccessibili del nostro pianeta. Lì vivono gli Tsaatan, gli uomini-renna, una delle ultime tribù nomadi e sciamaniche di allevatori di renne. Per arrivare da loro bisogna affrontare un viaggio a cavallo di 5 giorni su terreni che non possono essere percorsi da mezzi meccanici. L’unico modo è andarci a cavallo, ma i terreni sono comunque poco adatti anche a loro, boschi di conifere che con le piogge diventano fangosi, paludi e ruscelli in piena, distese di pietre dove i cavalli inciampano e fanno fatica. Eppure, piano piano, senza far male né alle bestie né agli esseri umani, vivendo per 5 giorni come mandriani, siamo arrivati a conoscere gli Tsaatan e il loro incredibile stile di vita. Scalando le montagne, sovrastando le vallate, in direzione Siberia verso Nord, abbiamo ammirato le nevi eterne, il loro bianco immacolato che raggiunge l’azzurro cosi caratteristico del cielo mongolo. Spettacoli intensi. Maestosità dei luoghi abitati dagli spiriti dei quali abbiamo sentito parlare a lungo. Questa tribù vive in una delle regione più remote della Mongolia settentrionale. Sono allevatori nomadi di renne e vivono in tende (urtz) sostenute da pali e ricoperte da teli pesanti, incredibilmente simili ai teepee dei nativi nordamericani. Il legame di parentela con i nativi nordamericani è innegabile: prima di tutto, le tende nelle quali vivono, ma anche i lineamenti del viso, le pratiche sciamaniche…la testa non può non pensare che siano stati proprio loro i primi scopritori dell’America, attraversando lo stretto di Bering milioni di anni fa. E adesso sono lì, davanti a me e Andrea, ci ospitano nel loro teepee e ci offrono latte di renna per ristorarci dopo 2 giorni filati a cavallo per raggiungerli. Vivono come uomini liberi, quali sono a tutti gli effetti: non esistono riserve a tenerli rinchiusi. E’ la tundra che li protegge dalla “contaminazione”. Gli accampamenti sono lontani e nascosti oltre la foresta, ad altitudini tali che la vegetazione scompare e lascia il posto solo a muschi e licheni, di cui le renne vanno ghiotte.
Vivono secondo il loro stile e secondo le loro tradizioni pacifiche e mansuete che sono rimaste quasi del tutto immutate nei secoli. Certo, vedere il pannellino solare fuori dalla urtz fa un certo effetto. Ancora di più la piccola antenna satellitare collegata ad una piccola tv nella tenda. Fortunatamente, la corrente scarseggia e, quindi, la televisione può stare accesa solo mezz’ora al giorno per l’appuntamento con la soap opera nazionale, un drammone patetico che però ci siamo divertiti a guardare insieme alla famiglia che ci ospitava. Il contrasto era spiazzante, ma reale. Non hanno bisogno di molto per sopravvivere. Per loro, la renna è tutto: cibo, indumenti e trasporto. Il loro regime alimentare si basa quasi esclusivamente sul latte ed i suoi derivati. La loro comunità è composta di circa 40 famiglie e 800 renne. E’ in funzione delle renne che si spostano due volte all’anno. Per garantire loro cibo e un clima adatto alla loro sopravvivenza. Per questo, nei secoli si sono adattati ai climi più estremi, in inverno le temperature superano (in negativo) i – 40° e d’estate non vanno oltre i +15°.
Negli anni ‘90, la brucellosi aveva danneggiato la salute delle renne ma adesso, grazie ad un progetto di veterinari italiani, le renne stanno meglio e la comunità è in crescita.
Sotto il teepee stiamo bene, i cavalli sono fuori al pascolo, le renne ci leccano perché gli piace il sale del nostro sudore… dopo una lunga cavalcata, seduti all’interno della urtz, ci riposiamo e godiamo del piacevole calore della stufa, sorseggiando il tè salato al latte di renna con i biscottini secchi fatti a mano. Questa gente vive in comunione totale tra loro e la natura. Consapevoli di questo momento maestoso e misterioso possiamo solo sentirci partecipi e godere di questo momento cosi importante per noi. Mi rendo conto che il senso di gratitudine che provo mi commuove fino a farmi piangere dall’emozione.
L’intensità magica di questa esperienza si legge sui nostri visi. Gli Tsaatan sono generosi, ci rendono parte della loro vita per il poco che possiamo permetterci di rimanere. Si perde il senso del tempo…sono solo due giorni quelli che abbiamo vissuto con gli uomini renna, nel tentativo di capire ciò che li spinge a vivere una vita che ci sembra a volte difficile da sopportare ma, allo stesso tempo, più sana e naturale.
E’ l’alba dell’ultimo giorno con gli Tsaatan ed è il mio compleanno: usciamo silenziosi dalla tenda e restiamo affascinati dal panorama che ci regala l’alba. Il cielo è tutto rosa e bianco, luce delicatissima, la brina si solleva piano dalla terra e avvolge le sagome delle renne in lontananza, già al pascolo, in un silenzio assoluto che ci che permette di sentire forte la relazione tra terra e cielo, fra visibile ed invisibile. Il mondo è ancora bello, non tutto è andato perso nella corsa al progresso, c’è ancora tanto da scoprire e tanto da proteggere. Il cuore e la testa vanno in tilt. Ma è un dono prezioso, unico, sublime. La discesa dalla montagna si farà sugli stessi sentieri che solo le guide conoscono. Attraversando ancora una volta paesaggi grandiosi, pensiamo a lungo agli uomini renna nascosti nelle foreste confinanti con la Siberia. Il cuore è gonfio di emozione e di gratitudine per la formidabile lezione d’umiltà che gli Tsaatan ci hanno dato senza alcuna arroganza, loro che lottano ogni giorno per una precaria sopravvivenza, conservando tenaci il valore della libertà.
Ilaria Lorusso