The Horse Boy • Usa 2009
Regia di Michel O. Scott
Tratto dall'omonimo libro di Rupert Isaacson (pubblicato in Italia da Rizzoli vedi sezione Libri), questo film documentario rievoca la storia del piccolo Rowan, bambino autistico di 6 anni guarito dalla Mongolia e dall'amore per i cavalli. L'esperienza fra nomadi, sciamani ed animali selvatici sarà la vera svolta per questa famiglia angloamericana che ha voluto così condividere la propria singolare esperienza. Guarda il trailer
My Movies: La prima cosa a stupire di Horse Boy è la dedizione documentaristica e l'occhio spietato con il quale i genitori hanno concesso di riprendere le crisi e la malattia del figlio. Non c'è niente di edulcorato e l'impressione è che si volesse rendere senza sconti lo sfinimento umano cui un figlio autistico a questo livello può portare dei genitori. Scelta significativa perchè aiuta a comprendere come sia stato possibile decidere di intraprendere un simile folle viaggio (si parla di giorni interi a cavallo e settimane in tenda con un bambino che urla di continuo e non è capace ad andare di corpo autonomamente) misurando la caparbietà degli esseri umani in campo, la caratura dei loro sentimenti, la forza della loro determinazione e facendoli passare immediatamente da persone reali a personaggi, identificabili per solo alcune caratteristiche salienti (la madre addirittura non ama cavalcare). Il viaggio degli Isaacson, quel che succederà prima con gli sciamani e poi al ritorno a casa, è materia da grandissima narrativa che solo una decade fa sarebbe arrivata al cinema sotto forma di cinema di finzione, come adattamento "tratto da una storia vera" (esiste una tradizione florida in materia di racconti su genitori che si battono per curare i propri figli) e non stupisce che in questo periodo di maturazione del documentario, inteso come genere, possa essere raccontata senza violenze finzionali ma mantenendo intatto il suo coefficente di impressionante realismo, i suoi volti normali, i suoi corpi medi e le sue reazioni mostruosamente normali. A parte questa scelta il resto del documentario però non brilla per sapidità e capacità di narrare la realtà, specie considerata l'eccezionalità della materia che maneggia. In più momenti si ha l'impressione che siano i veri eventi a salvarlo dalla deriva noiosa e monotona che sta prendendo e non la capacità del regista di creare un racconto a più livelli, sufficientemente complesso da associare al clamore dei fatti anche il fascino di una loro lettura da parte di un terzo soggetto, dotato di idee e visioni proprie che orchestra attraverso le immagini. Non solo i fatti (clamorosi di loro) sono presentati nella chiave più semplicistica possibile ma non sono nemmeno narrati bene (vedasi l'uso pessimo delle interviste). Apprezzabile unicamente la maniera in cui ogni esagerato sentimentalismo è rifiutato a favore di una contenuta esposizione di gioie e dolori. Nondimeno il pubblico può facilmente commuoversi.