ULAANBAATAR WEATHER

Töv, il cuore della Mongolia

L’hanno battezzata “centrale”. Questa regione in verità è spostata verso nord est rispetto alla mappa del Paese. Ma l’origine del nome ha un suo perché: con licenza geografica i mongoli considerano la capitale il perfetto baricentro e così il territorio che la circonda diventa “centrale”, appunto Töv in mongolo. Pur essendo una zona molto più sviluppata di altre, ospita solo 100.000 abitanti (in buona parte nomadi a tempo pieno), ovvero un ventesimo della popolazione totale e meno di un decimo di quella concentrata a Ulaanbaatar. Solo nel quieto capoluogo Zuunmod, una quarantina di chilometri a sud est della capitale, vivono 17.000 abitanti. Questo è il territorio più coltivato dell’intera Mongolia, anche se il clima d’inverno non è esattamente generoso: con un’altitudine media di 1.500 metri, le medie a gennaio scendono volentieri sotto i meno 20. Töv si accomoda nel cuore dei monti Khentii, che qui toccano la punta dei 2.800 di quota dell’Asralt Khairkhan uul.
Questa regione è un piccolo incanto che potrebbe, paradossalmente, giustificare un viaggio completo: una visita alla capitale e poi un’escursione non superando l’arco di compasso di poche decine di chilometri. Comodo. Ma il bello della Mongolia è anche provare fisicamente la sensazione della distanza, del vuoto, della pace, del grande cielo che ci segue altissimo, del silenzio del vento, attraverso spostamenti interminabili e, in qualche modo, spirituali. A Töv comunque è possibile abbracciare le tradizioni più pure dei nomadi e lasciarsi avvolgere dalla natura primordiale: poetici corsi d’acqua (qui scorrono il Tuul e il Kharaa), invitanti foreste di conifere e una collezione di animali bradi tra cui 250 specie diverse di uccelli oltre al leggendario cavallo Takhi. Tutto questo tesoro è garantito e protetto in cinque riserve naturali. Non è un caso che questa sia anche una delle zone turisticamente più attrezzate con una cinquantina di campi gher, gli accampamenti che accolgono i viaggiatori in confortevoli tende identiche a quelle dei nomadi, spesso con un supporto di bagni e docce. Attraverso Töv passa anche la Millennium road, la strada asfaltata che taglia in orizzontale la Mongolia.
Da Ulaanbaatar l’arteria tocca Nalaikh e Bayandelgher prima di sconfinare nel Khentii. Ovviamente, il meglio di questa regione lo si gusta abbandonando la strada principale e gettandosi, con un autista esperto, sulle sofferte piste secondarie, ricche di sorprese sempre a lieto fine.

Monastero di Manzushir
Otto chilometri a nordest di Zuunmod, a 1.800 metri di altitudine (non dimentichiamo però che la Mongolia è un altopiano), sorge il Manzushir khiid, tempio del Bodhisattva Manzushir, spirito invocato a protezione dell’intelligenza umana. La costruzione del primo edificio risale al 1733 e il complesso visse il periodo più fausto nel corso del XVIII secolo, con l’edificazione del Monastero Centrale, di una ventina di edifici e la creazione di un lago artificiale. Quando nel 1937 fu raso al suolo dal governo filosovietico, era uno dei monasteri più importanti della Mongolia dove un lama poteva raggiungere alti titoli e gradi di conoscenza. Originariamente ospitava 300 monaci, arrivando ad accoglierne fino a 500. Dal 1998 è un’area protetta. È rimasto intatto e si può ammirare un pentolone in bronzo del peso di due tonnellate dove, utilizzando quattro carri di legna, si potevano cuocere contemporaneamente due buoi interi oppure dieci montoni, per soddisfare le esigenze dei monaci. Il museo del monastero espone fotografie dell’edificio originale prima dello scempio, interessanti maschere tsam, una collezione degli impressionanti corni Ganlin, realizzati con tibie umane e moltissimi prodotti artigianali provenienti da Bogd-uul, compreso pellicce e trofei venatori. La suggestione dell’edificio sta soprattutto nel contesto ambientale, tra larici siberiani all’interno dell’area protetta del Bogdkhan uul (2.122 metri), la montagna sacra che chiude a sud Ulaanbaatar e apre verso Zuunmod. Il Manzushir è circondato da rocce di granito dove non è raro incrociare cervi e altri animali selvatici. Salendo di alcune centinaia di metri rispetto al museo si possono ammirare i resti del monastero originale e godere dello spettacolo imponente della vallata. Per entrare nell’area del Manzushir occorre pagare un doppio biglietto d’ingresso, per il Parco nazionale e per il museo. (foto 1)

Gachuurt
Se siete stanchi di Ulaanbaatar e desiderate silenzio per le vostre orecchie martoriate e aria pulita per i vostri polmoni, dirigetevi a Gachuurt, venti chilometri a est della capitale. Il villaggio è simile a tanti altri, ma è la zona intorno è decisamente unica per la sua bellezza naturalistica. È possibile noleggiare dei cavalli nelle gher della zona e regalarsi così un’eccitante escursione nei dintorni. Le anime contemplative preferiranno i piaceri della pesca (senza esagerare, il patrimonio ittico è ricco ma delicato), quelle più adrenaliniche si dedicheranno a rafting mozzafiato nel Tuul Gol.

Khandgait
Una trentina di chilometri a nord di Ulaanbaatar si trova Khandgait, zona piacevole e ricca di pascoli, montagne, pinete e fiori selvatici. Khandgait è anche il nome del villaggio che sorge in quest’area, un vero paradiso per l’escursionista, che sarà infatti stuzzicato dalle molte possibilità offerte: trekking, free climbing, pesca, con tanto di pattinaggio su ghiaccio, slitta e sci di fondo d’inverno. Khandgait è meno costosa e inflazionata della più nota Terelj, ma proprio perché meno conosciuta offre strutture meno sofisticate.

Parco Nazionale Terelj
È il rifugio preferito dei cittadini di Ulaanbaatar, che lo raggiungono facilmente guidando per una sessantina di chilometri (appena un’ora) verso nord est o salendo sul pullman che parte alle tre del pomeriggio (arriva alla meta un’ora e mezzo dopo) e riparte alle otto di sera. Cime di granito mesozoico fanno da pittoresca cornice a un paesaggio in stile alpino che permette di affrontare semplici passeggiate, cavalcate, trekking impegnativi fino a vere e proprie arrampicate. Si può anche esagerare, lanciandosi nel rafting. D’inverno gli sciatori si dedicano al fondo o alle discese dai pendii. Il fiume Terelj è così cristallino che invita a un tuffo: ottima idea, ma occhio alla congestione da freddo. Una roccia a forma di tartaruga gigantesca (melkhii khad) è il simbolo del parco, frequentato anche per il suo piccolo tempio di meditazione e per una gher-museo annessa al Terelj lodge. Questa regione di quasi trecentomila ettari è stata dichiarata parco nazionale nel 1993 con il nome di Gorkhi-Terelj (l’ingresso è a pagamento). (foto 2)

Il parco del XIII secolo
Da Tsonjin Boldog, 36 km a sudest, si può visitare un insediamento mongolo del XIII secolo, con varie gher e costruzioni che evidenziano sei raggruppamenti sociali: artigiani, messaggeri e guardiani, eruditi amanuensi, pastori, sciamani, Khan e fiduciari. È opera della Genco Tour, una delle più importanti imprese mongole. Un resort di lusso e un campo da golf a 18 buche non così lontani, possono dare la sensazione di una forte dissonanza.
Il parco comunque è in progressivo allestimento e, nonostante il prezzo un po’ troppo disinvolto del biglietto (circa 35 euro), può valere una visita.

Parco nazionale Khustain nuruu
Porta un nome romantico (Khustain nuruu, i rilievi delle betulle) questo parco nazionale di circa 50.000 ettari creato nel 1993 e raggiungibile in circa due ore dalla capitale: tanto ci vuole per coprire i 100 chilometri di strada, molti dei quali su piste sterrate o steppa pura. Il paesaggio è molto bello, con ampie macchie di betulle, ruscelli di acqua potabile e uno scenario sempre suggestivo. Moltissime le specie di piante e uccelli, oltre a cervi, gazzelle, cinghiali, roditori. Ma l’importanza internazionale di questa regione è legata al cavallo Przewalski (takhi in mongolo), l’unico equino selvatico ancora esistente sulla terra (vedi sezione fauna). Alla fine degli anni Sessanta la specie era completamente estinta a causa della caccia indiscriminata. Con un progetto avviato da una fondazione olandese e un’associazione ambientalista mongola nel 1993 sedici takhi, cresciuti in cattività in riserve europee, sono tornati a popolare questa zona. Attualmente (2016) sono censiti più di 250 cavalli Przewalski. All’ingresso del parco (a pagamento solo per gli stranieri) è possibile alloggiare in camere o gher e i gestori si offrono anche di preparare i pasti. (foto 3)

Roccia sacra Eej Khad
Vicino al villaggio di Khöshigt, 15 chilometri a sud di Zuunmod, sorge il sacro blocco di roccia noto come Eej Khad o Roccia madre. I mongoli vengono spesso qui in pellegrinaggio, per cercare conforto e soluzione ai propri problemi. Nonostante sia un luogo importante per la spiritualità mongola, dove pratiche buddhiste si mescolano ad eredità sciamaniche, è opinabile però quanto ne possa essere attratto e gratificato un visitatore straniero, senza un deciso interesse alla cultura religiosa.

L'eremo della creazione (Aglag Büteeliin khiid)
Di recente costruzione, situato nella provincia di Bornuur, il monastero Aglag Büteeliin è diventato uno dei luoghi più amati dai mongoli. Provenendo da UB, dopo 92 km in direzione Darkhan, si prende a destra una strada sterrata (che presto sarà asfaltata) per arrivare dopo 7 km al monastero, preceduto da un simbolico passaggio ad arco. Siamo nel territorio di nascita del fondatore Pürevbat, lama e artista buddhista, soprannominato Burkhanch lam, traducibile approssimativamente in “artigiano di Dio”. È un personaggio molto conosciuto in Mongolia e in parte anche all’estero, vincitore nel 2008 del premio Prince Claus, fondatore nel 1993 dell’Istituto mongolo di arte buddhista. Dopo aver parcheggiato, prima del passaggio ad arco, si prosegue a piedi. Ci accolgono le statue di una tartaruga, simbolo della materialità che ci tiene a terra e, a guardia del monastero, la statua di un animale fantastico a 8 zampe, con la testa da uccello Garuda e il corpo da leone. Al primo piano del monastero possiamo contemplare thanka, mandala, costumi e maschere Tsam, dipinti su stoffa, animali fantastici in materiali vari e una roccia naturale con il più conosciuto dei mantra buddhisti: Om mani Padme Hūm. Sulla destra ci appare Nogoon Dari Ekh, che amministra madri, figli e longevità; a sinistra Baldanlkham, a cui rivolgersi per un sostegno nella reincarnazione e a protezione del male e Erleg Nomun Khan, più conosciuto come re Yama, giudice dell’oltretomba; poi statue di santi, libri sacri. Al secondo piano sono esposti il ritratto dell’ultimo re mongolo, l’ottavo Bogd Khan con sua moglie e i ritratti di due maestri di Pürevbat. Ci appare anche la statua di un Savdag, un uomo alato con un’insolita anatomia sessuale. I Savdag, nella mitologia mongola, sono spiriti protettori di un luogo e questi è il Savdag di Garid uul, il monte a ridosso del quale si erige il monastero. Nella sala in fondo c’è “la stanza delle cose strane”, nome assolutamente appropriato, considerate le opere esposte come la pelle di un coccodrillo gigante, lo scheletro di un cavallo unicorno, un cinghiale a sei zanne, un coniglio con le corna, un pesce a cinque teste, tutte opere realizzate con materiali naturali di cui viene indicata anche la provenienza.
La parte più avventurosa della visita inizia però da un albero che si trova dietro il monastero, nato da un ramo secco, a cui ci si rivolge per chiedere salute e prosperità. Si percorre poi un sentiero, a tratti impervio, seguendo la direzione di delimitazioni in corda. Le opere d’arte, create utilizzando ciò che la natura offre, si susseguono: organi sessuali che simboleggiano Yin e Yang, le due polarità energetiche della vita; “il grembo della madre”, una roccia attraversata da uno spazio angusto, che si può percorrere gattonando e all’uscita si è come rinati, mondati dai propri peccati; yembuu khad, ovvero una roccia con la forma di un’antica colatura usata come moneta, girandovi tre volte attorno arriverà la ricchezza. Aglag Büteeliin khiid è un monastero particolare dove le offerte come ginepro, riso, vodka e nastri colorati sono vietate, per proteggere la naturale bellezza del luogo.
A sud del monastero c’è l’abitazione di Pürevbat, le gher dei lama e dello staff, una piccola trattoria dove è possibile ordinare semplici piatti della cucina mongola e, intorno al monastero, molti animali domestici come galline, oche e cani.

Riserva naturale di Gün-Galuut
Nel 2003 è stata fondata quest’area naturalistica con l’obiettivo di preservare alcune specie selvatiche, come gli argali, pecore di montagna caratterizzate dalle splendide corna, ma anche uccelli protetti come gru, cigni e aironi. La riserva si estende lungo il fiume Kherlen, è costellata da laghi e montagne ed è facilmente raggiungibile dalla capitale in poco più di due ore. Si percorrono circa 110 chilometri lungo la strada principale per Öndörkhaan, verso il Khentii, per poi piegare a sud per un’altra ventina di chilometri di pista. È possibile godersi la natura in pieno relax, ma anche effettuare escursioni più o meno impegnative, solcare in barca il Kherlen e il lago Ikh-Gün e per i più intrepidi c’è possibilità anche di praticare rafting. (foto 4)

Testo di Federico Pistone e Dulamdorj Tserendulam per mongolia.it