ULAANBAATAR WEATHER

Benvenuti nella capitale nomade

Capitale semovente, città nomade. Si spostava lungo i fiumi per centinaia di chilometri seguendo il flusso di pastori e mercanti. Un gigantesco grumo di tende bianche e circolari che si aggiungevano e si staccavano come amebe. Fino all’inizio del Settecento si chiamava Urguu che in mongolo significa “palazzo” ma che di stabile e di massiccio aveva solo la nostalgia per l’antica sontuosa Karakorum, quella voluta da Gengis Khan come centro dell’impero mongolo e quindi come dentro del mondo.
Una capitale eterna, almeno nei progetti, durata meno di trent’anni (fin quando Khubilai la spostò a Pechino nel 1264) e resistita un secolo e mezzo (fin quando i manchu la rasero al suolo nel 1380). Dal XVIII secolo il “palazzo” si spostò verso l’attuale Ulaanbaatar, smise di viaggiare a ritmi frenetici e divenne Ikh khuree, “grande cerchio”, inteso come accampamento.
Ogni due anni circa si effettuava il cambio di campo, una transumanza in massa di pochi chilometri quando il territorio occupato era ormai sfruttato e invivibile per uomini e armenti. La città divenne stabile nel 1911, con la proclamazione dell’indipendenza della Mongolia dalla Cina, e fu battezzata con pochi fronzoli “accampamento della capitale” (Niislel khuree). Sotto il dominio sovietico, all’agglomerato di gher si affiancarono gradualmente strade, palazzi, uffici, industrie mentre i monasteri furono quasi tutto abbattuti.
Nel 1924 nacque Ulan Bator (eroe rosso) il soprannome del generale Sukhbaatar, protagonista della liberazione dai cinesi: da allora la città non ha smesso di crescere. Solo nel 1987 la denominazione si è trasformata nella più corretta traslitterazione in Ulaanbaatar.
Oggi la capitale della Mongolia (foto 1, di Nick McCormack) ha gli stessi abitanti di Milano e con un ritmo vertiginoso di crescita, tra nomadi che si affollano con le gher ai margini della fascia urbana e uomini d’affari stranieri pronti a cogliere le opportunità che la giovane economia mongola può offrire, soprattutto nel campo minerario.
Ogni estate sempre si vedono sempre più turisti che a Ulaanbaatar di solito dedicano giusto il tempo per organizzare spedizioni nella steppa e nel deserto, rinunciando a scoprire la magia di una città seducente ma non facile da conquistare.
Le reazione dei viaggiatori provenienti dall’aeroporto Chinggis Khan possono essere delle più svariate. Chi la pensa come la scrittrice Emanuela Audisio che definisce Ulaanbaatar una città orribile, “peggio di Kiev”, chi invece se ne innamora a prima vista, come la giornalista televisiva Mimosa Martini, che la giudica romantica e piena di sorprese. La verità è che UB, come la chiamano per comodità i turisti e da qualche anno anche i mongoli, è una città strana, singolare, moderna di aspetto e antica d’anima, freddissima d’inverno eppure sempre così accogliente e familiare, intasata da un traffico che gira intorno a se stesso ma sempre pronta a offrire scorci e opportunità degne di una grande capitale. Con il vantaggio di avere intorno il silenzio del vento e della natura più intatta per migliaia di chilometri in ogni direzione. (foto 2, di Ariukamo)

Benvenuti in città
L’hanno ribattezzato Chinggis Khan, ma qualcuno lo chiama ancora col vecchio nome, Buyant Ukhaa. È l’aeroporto di Ulaanbaatar, il cancello d’ingresso della Mongolia per quasi tutti i visitatori, anche se da anni è in cantiere un nuovo progetto fiammante. Qualche negozietto di souvenir da tenere d’occhio per il ritorno e poco altro, ma un’atmosfera già molto intima e accogliente. Di solito si sbarca al mattino presto e l’aria, anche d’estate, è sempre frizzante e balsamica: i fumi carichi e pericolosi della capitale sono sedici chilometri più in là, direzione est. Prossimamente il "Chinggis Khan" diventerà uno scalo minore, destinato solo ai voli interni: sta nascendo infatti un nuovo aeroporto internazionale molto più lontano dalla città (circa 45 chilometri) ma che consentirà l’atterraggio di velivoli di stazza maggiore.
Muoversi in Mongolia è facile, basta alzare un braccio e qualcuno si ferma, taxi o non taxi. La richiesta economica, irrisoria fino a poco tempo fa, ha subito un ritocco: siamo intorno ai 1.000 tögrög al chilometro (circa 50 centesimi di euro). Quindi aspettatevi di pagare il corrispondente di circa 10-15 euro per il trasporto in auto dall’aeroporto in città. Dal gennaio 2010 il Governo ha cominciato a regolamentare il servizio dei taxi ufficiali, cercando di limitare l’utilizzo delle auto private per gli spostamenti urbani. Durante il percorso vedrete già un assaggio di Mongolia vera, con steppe sterminate, gher, pastori, mandrie. Piano piano vedrete venirvi incontro la civiltà: il palazzo dello sport, le grandi ciminiere di carbone, le baracche, il traffico. Quando vi troverete sulla sinistra la fabbrica Gobi, la più rinomata della Mongolia per la produzione del cashmere, siete quasi arrivati in città. Correrete paralleli al fiume Selbe per alcune centinaia di metri fino a incrociare il meraviglioso Palazzo d’inverno del Bogd Khan (ci torneremo) stagliato sulla collina Zaisan, dove è stata inaugurata nel 2006 la più alta statua del Buddha in Mongolia e dove si respira un’aria di rievocazione storica dell’alleanza mongolo-sovietica contro i giapponesi con un carrarmato disteso su un basamento inclinato. Proseguendo si incontra lo stadio dove si svolgono le gare di lotta del Naadam e anche gli incontri di calcio su un terreno di erba sintetica donato proprio dai giapponesi. La strada piega decisamente a sinistra per il Chinggis Khaany örgön chölöö (che possiamo tradurre in Viale Gengis Khan) che attraversa con una sopraelevata il Selbe prima del benvenuto su un ponte bianco panoramico costellato da piccole pagode e chiamato “ponte della pace”.
State accedendo al centro città e ve ne accorgerete dai palazzi moderni, dalle banche che crescono come a Lugano e dal traffico sempre più intenso. Pensare che fino a pochi anni fa queste strade erano quasi deserte! Sulla sinistra svettano le due slanciate torri del Bayangol hotel, a destra si intravede la scuola monastero del Choijin Lama e finalmente incrociate la Enkh taivny örgön chölöö, il viale della Pace, la strada più importante e battuta di Ulaanbaatar. Proprio di fronte a voi, annunciata dal Blu Sky Tower, il moderno grattacielo di vetro a forma di vela, si apre la piazza principale, dedicata a Sükhbaatar. E da qui comincia il nostro tour dentro la capitale. (foto 3, di Ariukamo)

Piazza Sükhbaatar, il cuore di UB
È un po’ più grande di Piazza San Marco a Venezia e, se fino a pochi anni fa era un semplice spiazzo delimitato in fondo dal Parlamento e interrotto solo dalla statua dedicata all’”eroe rosso”, oggi si presenta con un colpo d’occhio decisamente più vivace e moderno. Nel 2006, per gli ottocento anni dell’Impero mongolo, è stato eretto uno sfarzoso colonnato a cui si accede da un’ampia scalinata. In fondo, accomodato sul trono, il gigantesco monumento a Chinggis Khan che con la sua mole sembra vegliare su tutta la piazza ridimensionando perfino la statua di Sükhbaatar che impenna sul cavallo a pochi metri di distanza. (foto 4, di Federico Pistone)
Ai lati dell’antico condottiero, due altre sculture equestri di guerrieri mongoli e alle estremità Ögödei Khan (a destra) e Khubilai Khan (a sinistra). Sulla destra, guardando il Parlamento, ecco la Central tower, il palazzone con uffici, negozi e abitazioni di lusso. Di fronte il Blu Sky tower, la spettacolare “vela” popolata da hotel e uffici, che piace molto ai mongoli, ma, in verità, toglie atmosfera romantica al cuore cittadino. Sempre su quel lato si succedono il Teatro dell’Opera con il relativo museo e il Centro della cultura mentre gli altri edifici della piazza sono sedi di partiti e sindacati, la Borsa, l’Ufficio postale e poco discosti i più importanti musei. La piazza Sükhbaatar, che per qualche mese nel 2015 aveva cambiato nome in piazza Chinggis Khan per poi tornare al battesimo originale, è il vero salotto della città, anche se d’inverno si spopola e diventa dominio del freddo e del vento. È anche un punto di riferimento per gli stranieri: da qui ogni luogo della città è facilmente raggiungibile.

testo di Federico Pistone e Dulamdorj Tserendulam per mongolia.it